giovedì 19 dicembre 2019

Canova e Thorvaldsen - Le tre Grazie

E'tutta una questione di luce , questa la differenza tra le sculture di Canova e Thorvaldsen che in questi giorni sono i protagonisti dell'impeccabile mostra alle Gallerie d'Italia  a Milano.

Nello scenografico salone dell'ex Banca Commerciale Italiana, le protagoniste sono le tre Grazie
Esse si mostrano in tutta la loro sensualità e/o alterigia ai visitatori che possono godere - si, proprio godere- la loro bellezza , comodamente seduti in panchine poste ad anfiteatro.

Guardiamole più da vicino

Prima Canova
Antonio Canova, Tre Grazie, tra il 1812 e 1816, marmo
h: cm 182, Ermitage, San Pietroburgo

Il gruppo scultoreo fu commissionato a Canova da Giuseppina de Beauharnais, ex moglie di Napoleone. Nel maggio 1814 Giuseppina morì e non vide quindi l'opera che - terminata nel 1816- fu acquistata dal principe Eugenio, figlio di Giuseppina.
Dopo la disfatta di Napoleone e l'entrata a Parigi dello zar Alessandro I , molte opere in possesso della famiglia Beauharnais furono acquistate dai russi.
E così le Tre Grazie sono a San Pietroburgo .

Piacque così tanto l'opera che quando John Russel, 6° duca di Bedford visitò lo studio romano di Canova nel dicembre 1814 e vide l'opera in fieri,  ne volle una anche lui ed è la seconda versione attualmente al Victoria and Albert Museum.

Antonio Canova, Tre Grazie, 1814-1817, marmo senza venature, 
Victoria and Albert Museum, Londra

La differenza più evidente è nel basamento : squadrato nell'esemplare dell' Ermitage, cilindrico nell'altro.
Era relativamente facile per Canova replicare un'opera ,visto che nel suo studio conservava i gessi 
Il suo metodo? 
Prima schizzi 

 Antonio Canova, Schizzi per Le Grazie, inchiostro su carta, Bassano Musei civici

Poi modellini in terracotta
Penultima fase il modello in gesso a grandezza del definitivo
sul quale Canova inseriva piccoli chiodi di bronzo che segnavano le sporgenze delle statue e quindi erano spie per dove la luce avrebbe dovuto riflettere

Ora Thorvaldsen
Berthel Thorvaldsen, Le tre Grazie e Cupido, marmo, cm.172
1817-1819, Thorvaldsen Museum, Copenaghen

Thorvaldsen e  Canova avevano studio a Roma e la rivalità tra i due artisti c'era eccome.
Qui lo scultore danese è come se volesse sfidare il collega ,utilizzando lo stesso soggetto ma inserendo in più il piccolo Cupido con la cetra , forse per bilanciare la composizione che appariva vuota a sinistra.
Anche lui accetta la nuova iconografia scelta da Canova; fino ad allora le tre ancelle di Venere erano rappresentate due rivolte verso lo spettatore e quella centrale di spalle per rappresentare  il gesto del saper donare, ricevere e contraccambiare.
Raffaello, Tre Grazie, 1503-4 , olio su tavola, cm.17 x 17
Museo Condé, Chantilly
Le differenze tra le due opere vanno però al di là delle piccole variazioni iconografiche.
E' la luce che è diversa!
Perché la lavorazione del marmo è diversa
Canova conosceva a fondo il materiale e aveva visto i marmi del Partenone . Il biancore "cimiteriale " del marmo di Carrara  doveva essere stemperato , per somigliare di più al caldo marmo del Pentelico
Sappiamo che Antonio Canova attenuava il color bianco , cercando di chiudere tutti i pori del marmo, materia più assorbente delle spugne, con strati di cera appena colorata per offrire alla luce una superficie compatta su cui riflettersi.
Se osserviamo da vicino le sue sculture - e la mostra di Milano ce ne dà la possibilità- ci accorgiamo che i corpi sinuosi, le curve , le zone chiare e scure concorrono a rendere caldo il marmo.
E girare intorno alle statue, guardarle dal basso verso l'alto, di scorcio ci permette di capire come possa essere versatile  una statua che di per sé  noi consideriamo immobile, ieratica. 
Così non è in questo caso

Antonio Canova, dettaglio delle Tre Grazie
Il  metodo Thorvaldsen è differente.
Egli lasciava la superficie del marmo più ruvida e la luce riflette in modo diverso e trova piccoli cristalli luminosi sui corpi dalle forme più nette e geometriche.
 Anche qui ci si deve avvicinare alla scultura per godere di questi giochi .

Berthel Thorvaldsen , dettaglio delle Tre Grazie 

Qui nessun giudizio, nessuna preferenza tra l'una e l'altra
E poi la percezione dell'opera d'arte cambia in noi a seconda dei nostri umori, della nostra vita in quel momento.....

Francesco Chiarottini, Lo studio di Canova a Roma, disegno a penna acquarellato
grigio e seppia, cm.47 x 62 , 1786, Udine Musei Civici

mercoledì 16 ottobre 2019

La famiglia dell'infante don Luis di Goya - Gruppo di famiglia in un interno

Nel ritrarre una persona noi la uccidiamo un poco
ad ogni sguardo e quando l'abbiamo uccisa del tutto
essa comincia a vivere
Ma la solitudine dell'uomo nel ritratto è più grande 
della solitudine dell'uomo sulla terra
Ivo Andric

Francisco Goya, La famiglia dell'infante don Luis, 1783-84
olio su tela, cm 248 x 328, Fondazione Magnani Rocca, 
Mamiano di Traversetolo

Il colpo di fortuna arriva per Goya nel 1783
Insomma, per ben due volte Francisco Goya aveva tentato di entrare all'accademia di Belle arti di Madrid (nel 1763 e nel 1766) ma fu bocciato tant'è che nel 1770 - all'età di 24 anni - decise di compiere a proprie spese il viaggio di formazione in Italia.
Rimase qui più di un anno e le città del cuore furono Roma, Napoli, Parma.

Finalmente , dopo diversi lavori anche importanti in terra spagnola, arrivò la giusta spinta.
Francisco Goya, Il Conte di Floridablanca, olio su tela, cm 262 x 166
Madrid, Collezione del Banco di Spagna

Nel 1783 fu chiamato a dipingere il ritratto del conte di Floridablanca, segretario di Stato spagnolo  .
La tela , che presenta ancora caratteristiche leziose e rococò, mostra già tutta quella curiosità del pittore che si ritroverà in opere successive
Come  La famiglia dell'infante don Luis
Proprio grazie al conte di Floridablanca, Goya è introdotto alla corte di don Luis di Borbone , fratello del re Carlo III e personaggio "scomodo" per la famiglia reale
Bambino, all'età di 8 anni (!!!) fu nominato arcivescovo di Toledo e nel 1739, quando di anni ne aveva ben 12, si ritrovò arcivescovo di Siviglia
Ma la vera passione di Luis erano le donne ; rinunciò alle cariche ecclesiastiche  (scandalo a corte!), a cinquant'anni sposò una donna non di nobili origini (doppio scandalo!) ,tanto bella quanto giovane, Maria Teresa de Vallabriga e per lei rinunciò a tutto, anche alla vita di corte.

Il buen retiro dell'infante è ad Arenas de san Pedro e proprio qui Goya giunse a fine 1783 per ritrarre la corte di Luis

Il risultato è uno strepitoso gruppo di famiglia e nella tela trovano spazio ben 14 personaggi, un numero superiore a quelli presenti in Las meninas di Velazquez
Diego Velazquez ,Las meninas, olio su tela, cm 318 x 276
Madrid, Prado
Chi sono questi personaggi che come spettri, sul far della sera, guardano verso di noi ?
 Perché come su un palcoscenico , sono tutti "irrigiditi come sull'ultima battuta, prima che cali il sipario" , come disse Eugenio Riccomini, grande storico dell'arte (e non solo) ?

Sveliamo un pezzetto delle loro storie
Partiamo da sinistra
Di spalle, intento a dipingere, c'è il pittore e subito dietro le due cameriere , in un fermo immagine che accentua ancor più gli sguardi liquidi .
Davanti a loro due figli della coppia : vestito di azzurro don Luis Maria (1777-1823) e a fianco la piccola Maria Teresa (1780 - 1828) che avrà una vita malinconica e movimentata in quanto sposerà il primo ministro Godoy.

Francisco Goya, La famiglia dell'infante don Luis , particolare
A destra Goya ritrae l'ennesima bambinaia che tiene in braccio l'ultima nata, la piccola Maria Josefa (1783 - 1847) e poi un gruppo di uomini che a vario titolo rivestono ruoli istituzionali presso la piccola corte di Luis
Per un attimo tralasciamo l'uomo con la benda in testa e invece soffermiamoci sul magro signore ritratto  di profilo. 
E' Luigi Boccherini che dal 1770 fino al 1785 fu alla corte dell'infante
Francisco Goya, La famiglia dell'infante don Luis , particolare con
il ritratto di Luigi Boccherini
Molte delle sue composizioni da camera- dai sestetti per flauto, violini, viole e violoncelli a trii per archi, furono scritti qui e persino lo Stabat mater del 1781 trovò realizzazione ed esecuzione nella piccola corte
 Ma è il centro del dipinto che attira gli sguardi
 Donna Maria Teresa è luce dell'opera , insieme al lume posto sul tavolo verde
Si sta preparando alla toeletta prima di ritirarsi in camera.
Lo scialle bianco, forse veste da camera , ha riflessi argentati , accentuati ancor più dalle ciocche di capelli che sono pettinati dall'inserviente alle sue spalle.
La posa della donna è matronale e lo sguardo rivolto a noi , racconta quale sia il suo ruolo primario a corte . 

                                 Francisco Goya, La famiglia dell'infante don Luis , particolare

Don Luis è ritratto di profilo, seduto al tavolo da gioco , forse intento ad un solitario prima di andare a dormire . Con estremo realismo Goya ci fa riconoscere le carte da gioco : l'asso di denari, il due e il re  di bastoni...
Un ultimo personaggio attira per forza la nostra attenzione ed è come se Goya lo avesse posizionato in quel modo per accrescere la curiosità 

Il personaggio con una vistosa fasciatura in fronte si pensa sia il segretario particolare di donna Maria Teresa ma ciò che colpisce è l'attimo che Goya coglie .
E' come se in un fermo immagine, tutti avessero rispettato la fissità e all'improvviso questo personaggio avesse deciso di girarsi .
E ridere
Ridere di un momento che poco ha di pomposo. 
Ridere di una condizione di precarietà ( la candela si spegnerà?) 
E ridere perché questa sera si recita a soggetto, tutti insieme, senza distinzione di classi sociali o di ranghi
E' come se Goya svelasse il corso della vita attraverso le loro vite : da quella di don Luis , ormai giunto al termine (morirà l'anno dopo il dipinto) , a quella dei bambini, con espressioni più fresche ma pur sempre "compressi" in uno spazio angusto, da quella di donna Maria Teresa, disillusa  a quella di Luigi Boccherini che di lì a breve perderà mecenate e moglie e dovrà prendersi cura della numerosa prole
Le carte da gioco poste al centro , su un tavolo dall'equilibrio precario , è come se svelassero il destino del protagonista, e di conseguenza di tutto il mondo che attorno a lui ruota
Tempo e destino , questi forse sono i temi dell'opera secondo Victor Chan
E questo tempo che scorre ben è rappresentato da un pennellata pastosa e una stesura filante del colore che sicuramente Goya ha mediato da Luca Giordano, visto a Napoli, ma che qui ha più che una valenza stilistica uno scopo espressivo
Diciassette anni dopo questo ritratto reale come un'istantanea , Goya dipingerà con altrettanto acume la "condizione umana" della corte di Carlo IV
Francisco Goya, La famiglia di Carlo IV , olio su tela, 1800-1801,
cm.280 x 336, Museo del Prado, Madrid
Il pittore,ormai isolato , prende le distanze e si ritrae in penombra

Nell'opera della Fondazione Magnani rocca invece il giovane Goya ritrae se stesso intento a cogliere i pensieri fluttuanti dei personaggi, per fissarli cristallizzati sulla tela

 Come mai  questo Goya- il più grande in Italia- è  giunto a Mamiano di Traversetolo ? 
Dopo alterne vicende ereditarie e grazie alla caparbietà e all'amore per l'arte di Luigi Magnani, fu acquistata nel 1974 e grazie a lui e all'apertura della sua fondazione, anche noi ne possiamo godere.

giovedì 11 luglio 2019

Rubens è un italiano ! Sansone e Dalila

Sala 18 della National Gallery di Londra
Su una parete bianca campeggia  Sansone e Dalila ,dipinto da un  giovane Peter Paul Rubens
Peter Paul Rubens , Sansone e Dalila, 1609-10, olio su
tavola, cm.185 x 205, Londra, National Gallery

Per otto anni, dal 1600 al 1608 Rubens era stato in Italia : Venezia, Mantova ( dove per Vincenzo Gonzaga fu  pittore di corte e  consulente artistico ) , Firenze , Roma, Genova.
In ognuna di queste città il pittore annotava , disegnava. immagazzinava.
Al suo rientro ad Anversa trovò in Nicolaas Rockox , scabino e borgomastro, un amico e uno dei suoi mecenati.
Proprio Rockox gli aveva commissionato per la Sala degli Stati del municipio di Anversa l'Adorazione dei Magi oggi al Prado
Peter Paul Rubens, Adorazione dei Magi, 1609, Olio su tela, 
cm.355 x 493, Madrid , Prado
e sempre lui , capitano della Gilda degli Archibugieri, chiede a Rubens il famoso trittico destinato all'altare della Gilda nella cattedrale di Anversa

Peter Paul Rubens, Trittico della deposizione dalla croce, 1611-14
olio su tavola, cm.420 x 150, Anversa, Cattedrale

Per la casa di Rockox , oggi casa museo  ad Anversa , Rubens dipinse questo sensuale Sansone.
Le idee erano ben chiare : quello che doveva saltare all'occhio era l'abbandono amoroso dell'ingenuo Sansone e i ripensamenti della traditrice Dalila.
L'opera ha un modello di piccole dimensioni, oggi a Cincinnati

Peter Paul Rubens, Sansone e Dalila, 1609 ca. olio su tavola,
cm.51,8 x 50,6, Cincinnati Art Museum
e come si può dedurre dall'immagine, nel  dipinto sono presenti tutti gli elementi del definitivo.
E che Nicolaas Rockox andasse fiero del quadro, posizionato a quattro metri di altezza, sopra il camino della sala da pranzo, ce lo mostra un'altra composizione
Frans Francken II, Cena a casa del borgomastro Rockox, tra il 1630 e 35,
olio su tavola, cm 62 x 97, Monaco , Altepinakothek

Dunque Nicolaas Rockox andava fiero dell'opera di Rubens: campeggiava nel suo salotto ed immaginiamo fosse un monito per chi entrasse .
Guardiamola nel dettaglio.
E' notte.
Infine Sansone ha ceduto agli ammiccamenti e alle insistenze  di Dalila, inviata come spia dai Filistei per carpire il segreto della forza dell'eroe che  ha ceduto ed ha rivelato alla donna che l'origine della forza risiede nella lunga chioma.
Così Dalila , approfittando del fatto che Sansone si è addormentato - ingenuo e ignaro- chiama i filistei che provvedono a tagliare in silenzio le ciocche di capelli.
In una nicchia sullo sfondo si intravede una scultura che rappresenta Venere e Cupido e che allude all'amore causa di rovina per l'eroe.
Ma anche Dalila qui è "vittima" 
Se all'inizio doveva svolgere il suo ruolo di spia e sedurre Sansone, alla fine - giorno dopo giorno- anche lei è caduta nella trappola d'amore
La mano destra della donna  è abbandonata verso terra, ma con la sinistra accarezza la schiena dell'uomo e lo guarda con struggimento, sapendo bene che questo sarà il loro ultimo incontro.
E il tradimento è enfatizzato dagli intrecci di mani : quelle di Dalila, quelle di Sansone, quelle dell'uomo con le forbici
La luce caravaggesca - e pensiamo al fuoco nel camino - illumina sul fondo i soldati , increduli  e timorosi: davvero Sansone senza la sua capigliatura potrà essere facilmente sconfitto e condotto in catene?
e i colori , il rosso passionale della veste di Dalila, sono funzionali allo struggimento amoroso dei due protagonisti.
Qui non cè vittima e carnefice , sono vittime entrambi.
La vecchia che regge la candela per illuminare la scena mostra una curiosità morbosa e la sua bruttezza è segno di quanto il tradimento sia da condannare.
Ricordiamoci che la tavola era nella casa di un influente uomo politico, avvezzo a dover gestire trame e "cambi d'umore"...

Ma perchè Rubens qui è "italiano" e ha solo timidamente intrapreso quella strada che lo renderà famoso e acclamato e iniziatore della ridondanza barocca ( Baudelaire conierà per lui il nomignolo di "ciccia fiamminga") ?
Il lungo viaggio in Italia gli aveva mostrato tutta la grazia a la forza dell'arte di Michelangelo, le pennellate veloci e sfatte di Tintoretto, le luci e tenebre di Caravaggio.
E così la posa di Dalila è quasi copia conforme di quella della Notte di Michelangelo
Michelangelo, Tomba di Giuliano duca di Nemours, particolare
1525-27, marmo, Firenze, Sagrestia nuova
Così come la costruzione spaziale, dal drappo in alto a sinistra alla porta semiaperta dipinta sul lato opposto, è memore di un altro Sansone e Dalila di Tintoretto
 Tintoretto, Sansone e Dalila, 1585-90, olio su tela, cm 127 x 70,5
Ringling Museum, Sarasota (Florida)
Della luce che taglia la scena e dei rimandi a quel Caravaggio che proprio Rubens fece conoscere all'Europa si è detto.
Basterebbe confrontare anche qui il drappo scenografico che svela il dramma con quello della Morte della Vergine di Caravaggio. 
I carmelitani scalzi a Roma avevano rifiutato il dipinto di Michelangelo Merisi perchè giudicato sconveniente ; nel 1606 fu acquistato  per il duca di Mantova su segnalazione di Rubens che a Roma era rimasto incantato dal realismo e dai colori caldi

Caravaggio , La  morte della Vergine, 1604, olio su tela, 
cm.369 x 245, Parigi , Louvre

Peter Paul Rubens e la sua pittura ormai erano sulla bocca di tutti e tutta Europa faceva a gara per accaparrarsi un suo dipinto.
Ma tutto è partito da Anversa e dalla dimora di Nicolaas Rockox

domenica 16 giugno 2019

Qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo : la Madonna della neve di Sassetta

Siena, anno di grazia 1432
Ludovica Bertini, ricca vedova del senese Turino di Matteo, operaio della Cattedrale( era carica importante nella Fabbrica )  commissiona a Sassetta una pala d'altare da collocare nella cappella di san Bonifacio nel Duomo di Siena
Eccola
Stefano di Giovanni (detto il Sassetta), Pala della Madonna della neve, 
1432, tempera su tavola, cm.240 x 256, Firenze, Uffizi

E' una Madonna in maestà , come tante ce ne sono in quegli anni e in quei luoghi.
Ma la data e il tema ci dicono che qualcosa di nuovo sta accadendo in pittura.

Nell'enorme scomparto centrale di una pala con ancora cuspidi gotiche ma non più a forma di trittico bensì quadrata, sono raffigurati la Vergine e il bambino in trono tra angeli e i santi Pietro, Paolo, Giovanni Battista e Francesco.

 Il trono posto in prospettiva è impreziosito da un tessuto decorato con il motivo a occhi di pavone . 
La ricercatezza si vede anche nel pavimento ricoperto da un tappeto con motivi zoomorfi 
Ma .... " il colore e la luce artificiosa dell'oro filtrato dalle tinte trasparenti di cui si sostanzia la pittura, e che rozzamente chiamiamo 'decorazione' o 'ornato', lo smalto del  modellato che si purifica nella verità della luce senza smentire la sua attenzione all'astrazione della linea, sono alcune delle ragioni per le quali il dettato  dell'incredibile testo nasce a tratti antico, come un capolavoro di Simone o Ambrogio , e finisce a tratti moderno come un Domenico Veneziano"  (Carlo Volpe, 1982) 
Il vecchio e il nuovo...
Tutte le figure occupano lo spazio senza seguire però le regole matematiche ma quella tridimensionalità  trecentesca che si trovava in Giotto o Simone Martini
Un po' quello che negli stessi  anni avevano provato Masolino e Masaccio nella Sant'Anna metterza 
Masaccio e Masolino, Madonna col bambino e sant'Anna , 1423-25
tempera su tavola, cm. 175 x 103, Firenze, Uffizi
La ricchezza dell'oreficeria senese è presente nell'oro a profusione  e nell'argento oggi scurito posto sul piatto a destra , sul trono. Il biancore della foglia d'argento rimandava alla neve del miracolo e persino l'angelo gode di questo evento miracoloso, visto che con le mani affusolate sta forgiando una palla di neve 

Sassetta, Madonna della neve, insieme e particolari
E nella parte bassa del trono, ben in evidenza sono rappresentati gli stemmi delle famiglie committenti, come probabilmente la figura di san Francesco, leggermente in scorcio, fa riferimento a Ludovica Bertini che  entrò nell'ordine francescano alla morte del marito.

Nella predella Sassetta dipinge il racconto della fondazione della basilica di santa Maria Maggiore a Roma , nata secondo leggenda dopo un sogno premonitore fatto da due ricchi patrizi romani e contemporaneamente da papa Liberio nella notte del 5 agosto 356.
Dopo un periodo di siccità nevicò in agosto sull ' Esquilino e la superficie occupata dalla candida neve indicò il tracciato e le dimensioni della chiesa .

Sassetta, predella con episodio della fondazione della Basilica
di santa Maria Maggiore 

Un racconto romano ha la sua ragione d'essere a Siena, città che si considerava sorella di  Roma in quanto fondata secondo la tradizione da Senio, figlio di Remo in fuga dallo zio Romolo.
E' proprio negli episodi della predella che si colgono meglio le novità pittoriche che Sassetta ha recepito dalla lezione di Masaccio . Niente più fondo oro ma un cielo dalle tante sfumature celesti e carico di bianche nubi , reso ancor più reale dallo stormo di rondini
Sassetta qui riesce ad essere molto più innovativo di Masolino che si era cimentato pochi anni prima sullo stesso tema.

Nel pannello centrale della Pala Colonna - posta sull'altare maggiore della chiesa romana -Masolino raffigura lo stesso episodio ma il cielo è oro e le nuvole cariche di neve sono un timido espediente per dare l'idea di spazio 
Masolino , Fondazione di santa Maria Maggiore , 1428, tempera su 
tavola, cm.144 x 76, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

La lezione prospettica di Masaccio è quel "qualcosa di nuovo" che persino un raffinato pittore come Sassetta non può ignorare

 * Per un ricco repertorio di immagini e per la storia della Pala  si rimanda a Sassetta’s Madonna della Neve: An Image of Patronage. Leiden: Primavera Press, 2003.






mercoledì 12 giugno 2019

Tutti pazzi per santa Cecilia !

Nella sala XXIX della Pinacoteca di Brera , proprio di spalle alla Cena in Emmaus di Caravaggio, campeggia una maestosa pala d'altare.
Eccola
Orazio Gentileschi, I santi martiri Cecilia, Valeriano e Tiburzio 
visitati dall'angelo, cm.350 x 218 olio su tela, 1607 
Da dove arriva e cosa ci racconta?

Era nella chiesa agostiniana di santa Cecilia a Como, posta sull'altare maggiore nel 1607 ; una testimonianza documentaria attesta una visita compiuta il 25 novembre 1607 dal cardinale Paolo Sfondrato ( lo ritroveremo questo nome) che ammirò la tela e scrisse che si trovava lì da poco
Chiesa e complesso di santa Cecilia, Como, via Cesare Cantù 57 esterno
interno della chiesa di santa Cecilia a Como
Poi , come tante altre opere, prese strade diverse  e oggi è a Brera.

Nella tela è raffigurato l'esaltante episodio della gloria della santa e dei due martiri, in pieno spirito controriformato
La  romana Cecilia era - secondo una leggendaria Passio - una cristiana che convertì alla nuova religione il marito Valeriano e il cognato Tiburzio e tutti e tre si diedero alla cura dei martiri.
La castità dei due sposi venne premiata dagli angeli con delle corone di bianchi fiori .
Ma il martirio arrivò presto. 
Prima furono incarcerati e decapitati i due fratelli Valeriano e Tiburzio, poi toccò a Cecilia . 
La ragazza si rifiutò di compiere sacrifici agli dei pagani e per questo i suoi carnefici tentarono inutilmente di annegarla. Fu uccisa con tre colpi di spada. 
La leggenda della decapitazione  risale all' VIII  secolo e un fraintendimento è anche alla base dell'iconografia che la vuole suonatrice di organo .
In una liturgia celebrata il 22 novembre, giorno della sua festa, il testo recitava :" Mentre la musica risuonava , la vergine Cecilia cantava al suo unico Dio " Poi quelle parole in corsivo divennero mentre suonava l'organo.
Poco male 
Da allora Cecilia è protettrice dei musicisti .

E qui Orazio Gentileschi , che aveva incontrato a Roma nei primi anni del Seicento Caravaggio, raffigura con una grazia armonica degna di un musico, i tre giovani in splendide vesti.
L'angelo, la luce, la cura negli abiti, mostrano una vicinanza stringente con le tele di Michelangelo Merisi a san Luigi dei Francesi, ma anche con quel capolavoro rubato nel 1969  dall'oratorio di san Lorenzo a Palermo e che studi recenti datano al 1600.

Caravaggio, Natività coi santi Lorenzo e Francesco,1600, olio su tela
cm 268 x 197, opera rubata

Ma anche il drappo verde che fa da cortina teatrale, ricorda la tenda rossa della Morte della Vergine di Caravaggio.
Caravaggio, Morte della Vergine, 1606, olio su tela, cm 369 x 245
Museo del Louvre, Parigi
Il toscano Orazio Gentileschi cambiò radicalmente la sua pittura dopo l'incontro con Caravaggio; da artista tardo manierista legato agli ambienti romani, divenne pittore di tenebre e luce , di grazia e realtà.
In anni più tardi, Gentileschi ripropose l'immagine di santa Cecilia e dell'angelo.


Orazio Gentileschi,Santa Cecilia suona la spinetta, 1618-22,olio u tela
cm 90 x 105 , Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria

Anche in questo caso il realismo di Caravaggio è addolcito " da dolcezze espressive e da una maggiore armonia compositiva" (Caterina Bon Valsassina)
Ma com'è che nel Seicento c'è tutto un pullulare di rappresentazioni di santa Cecilia?
Intanto l'accademia di musica fu fondata con bolla papale da Sisto V nel 1585 e questo diede grande impulso al fiorire di componimenti nel Seicento (si veda con quanta cura sempre Caravaggio ricopiò nel suo Riposo dalla fuga in Egitto lo spartito)  e poi nel 1599 in occasione dei lavori  per il Giubileo del 1600, fu aperto un sarcofago nella chiese di santa Cecilia in Trastevere che racchiudeva un corpo intatto, con tre dita della mano destra e uno della sinistra alzati , a simboleggiare una primitiva "teologia" della Trinità.
Chi diede il compito di riesumare il corpo fu quel cardinale Paolo Camillo Sfondrati di Como che è stato citato sopra.
L'immagine più famosa e glamour della santa è proprio quella che ci ha lasciato Stefano Maderno
Stefano Maderno, Santa Cecilia, 1600, marmo, lunghezza cm 131
Roma, Basilica di santa Cecilia in Trastevere
e che è posta scenograficamente sotto l'altare maggiore.
La linea sinuosa e morbida che segna le forme della giovane santa, il taglio sul collo da cui esce una goccia di sangue, le mani che indicano la Trinità, tutto concorre a creare un'immagine nuova . 
E gli artisti , creatori di storie per immagini , si sono buttati a capofitto nella creazione di un'immagine che facesse presa sul pubblico , ops, sui fedeli
Da Domenichino e i suoi affreschi dedicati alla santa in san Luigi dei Francesi a roma (1614) , al Guercino, da Carlo Saraceni a Guido Reni... tutti pazzi per santa Cecilia !
Guercino, Santa Cecilia, 1658, olio su tela, cm.89 x 67,5
Roma, Fondazione Sorgente
Carlo Saraceni, Santa Cecilia e l'angelo, 1610, olio su tela, 
Roma , Galleria 
Nazionale d'arte antica Palazzo Barberini

Guido Reni, Santa Cecilia , 1606, olio su tela, cm 96 x 76, 
Pasadena, Norton Simon Museum

lunedì 3 giugno 2019

Le maschere di Ensor : L'entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889

James Ensor, L'entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889, 1888, olio su tela
cm.253 x 430, Los Angeles , the J. Paul Getty Museum

"La mia infanzia è ricca di magnifici sogni" 
Così disse Ensor, ricordando certo il negozio di Ostenda della nonna , dove nella vetrina facevano bella (o brutta ) mostra  oggetti per turisti, da merletti a pesci imbalsamati, da armi a porcellane
Insomma ... le belle cose di pessimo gusto
E questo amore per l'eccesso gli è rimasto
James Ensor

Questa enorme tela rimase a lungo nello studio del pittore .
Persino il gruppo belga Les XX (manipolo di artisti riunitisi a Bruxelles nel 1884, sull'esempio degli Artisti indipendenti francesi lo rifiutò : era troppa la violenza cromatica!

Un minimo di descrizione
In uno spazio pieno di figure. l'artista belga rappresenta una parata carnevalesca Tutti sono stipati e vogliono apparire, come se richiedessero il loro quarto d'ora di celebrità
In primo piano al centro appare un uomo col cappello di vescovo e il bastone di capobanda : è il ritratto di Emile Littré, filosofo positivista francese che evidentemente non godeva la stima dell'artista.
Egli guida una folla scomposta e immaginiamo rumorosa  -ecco in secondo piano la banda- e sul palco le autorità locali (sicuramente il sindaco con la sua fascia di rappresentanza) sono pronti a dare il benvenuto a Cristo.
Pronti ad accoglierlo, pronti a crocifiggerlo.
La figura di Cristo , con le fattezze del pittore,è piccola cosa al centro dell'opera ed è come se l'artista sapesse già di essere misconosciuto per la propria arte.
Come il messaggio di Gesù fu ignorato, così la congerie di artisti e critici ignora l'arte di Ensor
I suoi detrattori però, non hanno il coraggio di esprimere apertamente le opinioni negative e si nascondono dietro maschere caricaturali, brutte forse come gli oggetti esposti nel negozio della zia

Le scritte che campeggiano (Vive la Sociale o Fanfares doctrinaile ) sono slogan e niente più.
Ma il segno più prorompente Ensor lo ha dato non tanto /non solo nella scelta del tema ma nella stesura del colore.
L'uso di spatole di metallo che rendono la stesura cromatica una chiara anticipazione della stagione espressionista , è una risposta totalmente diversa, più libera, al "tecnicismo " puntinista che imperava in quegli anni.
E Munch, Kirchner, i Fauves , fino a Pollock devono tantissimo all'artista belga che stratifica il colore e rende l'opera materica
Persino i generali di Enrico Baj sono figli della cinica figura con la maschera della morte, in basso a sinistra del dipinto di Ensor. Attira la nostra attenzione perché ci spaventa e perché la spessa fascia verticale verde è lì, in primo piano a guidare la nostra attenzione verso la folla scomposta e "maleducata"
Le maschere ci permettono di dare il lato peggiore di noi
Enrico Baj, Generale, 1975, acrilici e collage su tavola, cm. 125 x 97, 
collezione privata

sabato 27 aprile 2019

Angeli custodi alla scuola di Verrocchio : Tobia e l'angelo

 Andrea Verrocchio, Tobia e l'angelo, 1470-75, tempera su tavola, 
cm.84 x 66, Londra, National Gallery
Una favola a lieto fine; questa è la storia di Tobia 
E di happy end ce ne era bisogno allora, nella Firenze del Quattrocento  e pure ora , XXI secolo

Raccontiamola, ne vale la pena.
La fonte è il Libro di Tobia , contenuto nella Bibbia cristiana ma non accolto in quella ebraica.
Tutto ha inizio a Ninive, durante l'esilio degli ebrei in Assiria, nell' VIII secolo a.C ; qui viveva l'uomo giusto e pio Tobi che , diventato vecchio e cieco, incaricò il figlio Tobia  di recuperare il denaro a lui dovuto nella lontana Media. 
 Anna, madre di Tobia, si era opposta al viaggio pericoloso.
Tobia e il suo cagnolino incontrano un compagno di viaggio che solo alla fine del racconto si rivelerà l'arcangelo Raffaele.

Giunti al fiume Tigri, nonostante i moniti di Raffaele, il ragazzo vuole bagnarsi ma un pesce emerso dall'acqua cerca di divorarlo.
Grazie all'aiuto di Raffaele, Tobia uccide il pesce e  estrae cuore, fegato e fiele . I primi due,
 se bruciati- avrebbero sconfitto gli spiriti maligni, il terzo , se spalmato sugli occhi, avrebbe ridato la vista all'anziano padre.
Dopo aver ritirato la somma che alla famiglia spettava, sulla via del ritorno i due viandanti si fermano da un parente che aveva una figlia bellissima -Sara- posseduta però da un demone.
Va da sè che grazie ai consigli dell'angelo Raffaele, Tobia guarisce e poi sposa la bella fanciulla 
 Una volta a casa grazie all'unguento ottenuto dal fiele del pesce, Tobia  guarisce il padre che vuol ricompensare Raffaele.
 Solo in questo istante l'angelo rivela la sua natura divina e padre e figlio  in ginocchio ai suoi piedi lo venerano.


A Firenze nella seconda metà del Quattrocento ci fu un pullulare di dipinti legati a questa vicenda ; con ogni probabilità erano commissionati da padri preoccupati per il primo viaggio lontano da casa dei figli . Erano insomma dei dipinti apotropaici . nulla poteva succederti se avevi il tuo angelo custode.

Il dipinto di Verrocchio fu acquisito dalla National Gallery nel 1867 e proveniva dalla collezione del conte Angiolo Galli Tassi ,nel suo palazzo di via Pandolfini a Firenze ; chi fosse il committente originario non si sa .
Certo era una ricca famiglia probabilmente di mercanti .
 Il giovane Tobia tiene nella sinistra un cartiglio con la scritta ricordo ed appeso a una cordicella, un pesce per nulla spaventoso ma in tutto e per tutto simile ad una trota
Andrea Verrocchio, particolare del Tobia e l'angelo

Forse il foglio di carta allude ad una lettera di riconoscimento che il giovane viaggiatore avrebbe dovuto esibire nel suo viaggio d'affari . E Tobia, vestito come il più dandy dei dandies fiorentini , doveva mostrare tutta la ricchezza della casata .
La linea sinuosa dei corpi, le mani di Tobia e dell'angelo che si intrecciano, la linea di contorno elegante e marcata , i luminosi colori, tutto concorre a impreziosire il dipinto e a darci l'idea di uno stile comune che Verrocchio detta.
Poi verranno Botticelli e Leonardo, molto più fascinosi del loro maestro.
Andrea Verrocchio, particolare di Tobia e l'angelo

Gli sguardi dei  protagonisti hanno morbidi riflessi ; già si intravedono quei moti dell'animo che  Leonardo, suo allievo renderà espliciti e sua caratteristica distintiva
Andrea Verrocchio, particolare

E anche il paesaggio , che per alcuni critici è l'anello debole del dipinto, in realtà mostra come Verrocchio e la sua scuola siano attenti ai minuziosi dettagli dei dipinti fiamminghi che in quegli anni tanta fortuna avevano a Firenze. Bisognava adattarsi e assecondare i gusti nuovi ed "esotici" della ricca committenza.

Qualche anno prima Pietro Pollaiolo aveva dipinto e collocato in Orsanmichele - il monumento più fiorentino di Firenze, mezza chiesa e mezzo granaio- un altro Tobiolo
Pietro Benci del Pollaiolo, L'arcangelo Raffaele e Tobiolo, 1465-70
olio su tavola, cm 187 x 118, Torino, Galleria sabauda
Rispetto all'opera di Verrocchio, qui le figure sono più ingessate e meno sensuali, anche se il paesaggio a volo d'uccello, mostra un'attenzione  realistica che si ritroverà nelle opere di Piero della Francesca

Qualche anno dopo, sempre a Firenze ( ma quanti giovani partivano per i commerci e necessitavano degli angeli custodi!) anche Filippino Lippi alter ego di Botticelli si cimentò nello stesso tema
Filippino Lippi, I tre arcangeli e Tobia, 1480-82, tempera e olio su tavola
 trasportata su tela, cm 100 x 127, Torino, Galleria Sabauda

L'aggraziata cadenza del passo degli angeli Raffaele e Gabriele, la fierezza di Michele guerriero, la titubanza del giovane Tobia, la curiosità del cagnolino che volge lo sguardo verso l'alto, mostrano il gran talento di Filippino

Immaginiamo nelle case fiorentine questi dipinti, commissionati da genitori in ansia per figli che crescevano, che bisognava lasciare liberi e che però dovevano essere accompagnati in questo momenbto di crescita.
L'angelo custode nasce qui, a Firenze , 1400 ....