sabato 11 ottobre 2014

Friedrich, ecco il romanticismo!


Proprio come l'uomo pio prega  senza pronunciar parola e l'Onnipotente gli presta ascolto, così il pittore di sentimenti sinceri dipinge e l'uomo sensibile riconosce e comprende la sua opera
Kaspar David Friedrich
(1774-1840)


Esiste un legame contingente tra l'arte di Fridrich e la pittura cinese? Sicuramente no, ma se spostiamo la nostra attenzione sulle "dichiarazioni d'intenti" del pittore tedesco e di Tang Hou, teorico dell'arte cinese del XIV secolo, allora ci si accorge come il linguaggio dell'arte possa essere universale e scardinare qualsiasi barriera- geografica  e religiosa-

Mostra il tuo cuore senza riserva
E il tuo pennello sarà ispirato.
Scrivere e dipingere hanno uno scopo comune,
La rivelazione della bontà interiore.
Ecco due compagni
Un vecchio albero e un alto bambù
La mano che li ha tracciati liberamente li ha trasformati;
L'opera è stata compiuta in un istante.
L'incarnazione di un momento unico,
Costituisce il tesoro di cento epoche,
E si prova, nello svolgere questo rotolo, un sentimento
di tenerezza,
Come nel vedere il creatore stesso." Thang Hou

L'unica autentica fonte dell'arte è il nostro cuore, il linguaggio di un animo puro e infantile. Un'opera che non scaturisca da questa fonte può essere solo artificio. Ogni vera opera d'arte viene concepita in un'ora sacra e nasce in un'ora felice, il più delle volte senza che l'artista ne abbia coscienza, da un intimo impulso del cuore. C.David Friedrich, Scritti sull'arte,ed. cons. Milano, 1989

Ma qui rimando allo splendido ed avvincente saggio di Giovanni Peternolli, Caspar David Friedrich e la pittura cinese, studi di estetica 1999 , reperibile in rete e da leggere d'un fiato.

Uomo di poche parole, anche se amico di Schiller e Goethe, figure di spicco per le parole tedesche, Fridrich parlava col pennello ed i colori.
Dalla Croce sulla montagna del 1808 - un'alba che illumina una morte- oggi alla Gemaldegalerie di Dresda

 al Mare al chiaro di luna del 1835/36- un tramonto non troppo metaforico-una delle sue ultime opere, ciò che ci attrae è la supremazia del paesaggio
Ogni opera di Friedrich ha la sua magia, la scelta dunque è difficile.
Ma il Viandante sul mare di nebbia (1817-18, olio su tela, cm. 75x95 ,Amburgo, Kunsthalle)  è una delle più suggestive...

Qui , come in molti altri dipinti, le figure di Friedrich  non hanno volto ; potremmo essere noi i protagonisti dell'opera che , grazie anche alla nitidezza visiva, parla dritta agli occhi, specchio dell'anima. La figura simbolica del viandante, di chi cerca e percorre una strada che non arriva mai alla fine, è nelle nostre corde.
Un passo delle Lettere sulla pittura di paesaggio ,(Lipsia 1835) di Carl Gustav Carus , sembra parlare proprio di quest'opera :" Sali sulla vetta della montagna, contempla le maestose catene montuose, osserva il corso dei fiumi e lo splendore di tutto ciò che ti si offre alla vista, e quale sentimento si impadronisce di te? Quello di una calma preghiera, ti perdi nello spazio sconfinato, tutto il tuo essere viene illuminato e purificato, il tuo io scompare, tu non sei nulla, Dio è tutto"
Anche se in questa opera al centro è presente il viandante, non è lui il protagonista, anzi estraneo al paesaggio; ho sempre pensato che se "L'infinito di Leopardi avesse un corrispettivo visivo, questo dipinto calzerebbe a pennello. La siepe che il guardo esclude lì , le nuvole che mozzano il fiato qui. Ed entrambi, il poeta e il pittore si interrogano sul senso delle cose. Le nostre mille domande vorrebbero risposte che si perdono nelle nebbie.

Ma la vita può essere meno dura nella condivisione.
Ecco allora un dipinto di Friedrich in cui la speranza è accennata.
Caspar D. Friedrich, Le bianche scogliere di Rugen, 1818, olio su tela, cm. 70 x 90,Winterthur, Stiftung Oskar Reinhart
Il vecchio orso proprio in quest'anno sposò Caroline Bommer,  una ragazza di umili origini che aveva quasi la metà degli anni del pittore. Il viaggio di nozze ebbe come tappa l'isola di Rugen, non distante da Greifswald, patria dell'artista.  

Il paesaggio qui dipinto non trova un riscontro reale con quello dell'isola; del resto non era intenzione dell'artista essere "realista" , bensì voleva, attraverso le tre figure in primo piano- particolareggiatissime nelle vesti- e il piano di fondo, creare un abisso invalicabile tra noi e il lontano, fuori dalla nostra portata. La donna a destra , vestita di rosso, è la moglie dell'artista ed il colore allude alla Carità, mentre l'uomo in ginocchio, quasi sporto oltre il baratro, è lo stesso pittore, che , umile, si inchina alla generosità di Caroline.  A destra, con lo sguardo perso verso l'orizzonte, c'è Christian, fratello minore di Caspar, giovane ancora e dunque colmo di Speranza.
Gli alberi sono solo cornice e la linea altissima dell'orizzonte sul mare, dilata anche le nostre aspettative.
Ma la speranza poi, svanisce.
 Mare di ghiaccio (Il naufragio della Speranza) , 1824 (Olio su tela, cm.98 x 128, Amburgo, Kunsthalle) 
Altro naufragio. Ma quello della nave - la Speranza appunto- di William Edward Parry,che partecipò alla prima spedizione al Polo Nord, è solo pretesto per altro naufragio.
La grande lotta della Natura è  dipinta in modo composto : il dipinto è sovrastato da blocchi di ghiaccio- quello al centro e altri due, simmetricamente a sinistra e a destra. Il relitto della nave riusciamo a vederlo solo ad una lettura più attenta perché il pittore  vuol mostrarci che anche nelle tragedie e negli sconvolgimenti atmosferici, un ordine c'è, e lo stupore, che è effetto del Sublime nel suo più alto grado , ci pone in una condizione di ammirazione, riverenza e rispetto di fronte al Creato.

Del resto Kant qualche anno prima, nel 1790 , nella sua Critica del giudizio estetico aveva affermato :" l'impossibilità di resistere alla potenza naturale ci fa conoscere la nostra debolezza fisica ma ci scopre contemporaneamente una facoltà di giudicarci indipendenti dalla natura, ed una superiorità che abbiamo su di essa."

martedì 7 ottobre 2014

La "Deposizione" di Rogier van der Weiden , ovvero il dramma rappresentato.


Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius.

Il commovente dipinto ad olio su tavola  (262 x220 cm.) di Rogier van der Weiden oggi si trova nelle sale fiamminghe del Prado a Madrid.
Ma l'artista di Tournai lo dipinse nel 1430-40 per la chiesa di Notre Dame fuori le mura di Lovanio , esattamente per la cappella sponsorizzata dalla Confraternita dei Balestrieri ( si noti la decorazione a finto intaglio posta a coronamento degli angoli, che riproduce  appunto delle balestre) e piacque così tanto che subito tante furono le copie.
Come mai è al Prado? Gli Asburgo di Spagna dalle Fiandre la portarono in dono a Filippo II , grande estimatore della pittura fiamminga, che la trasferì alla fine del Cinquecento all'Escorial. Poi . come è ovvio,passò alle collezioni del Prado.
E chi era Rogier? Allievo di Robert Campin, il grande iniziatore della pittura di Fiandra, divenne personaggio importante e Bruxelles e compì- era moda!- un viaggio in Italia, entrando in contatto con le corti di Milano, Mantova , Ferrara  e con Gentile da Fabriano e Beat Angelico a Firenze.

Ma qui a me interessa ammirare questo dramma sacro.
Il dipinto oggi è lacunoso: si presenta solo la tavola centrale di un trittico di cui si sono perse le tavole laterali (si richiudevano? chissà..) e raffigura , in uno spazio angusto  dieci personaggi. Nonostante la "scatola" lignea, troppo chiusa e occlusiva- quasi a voler simboleggiare il dolore compresso  che ognuno dei personaggi manifesta-tutta la composizione è regolata da precise regole simmetriche e armoniche.
Le morti e le crocifissioni di solito erano rappresentate in verticale : si veda la coeva "Deposizione" di Beato Angelico per santa Trinita a Firenze e oggi conservata al museo di san Marco 
E invece qui lo spazio innaturale e a fondo oro è sviluppato in orizzontale, quasi a voler dare ancor più enfasi al dolore terreno ; ecco in primo piano le ossa , le pietre ed il teschio di Adamo.
Il ritmo è spezzato da due diagonali date dal terreo corpo di Cristo cui fa da contraltare (passio/compassio) la Madonna svenuta e sorretta da Giovanni , posto all'estrema sinistra a cui risponde dalla parte opposta una pia   donna piangente. 
Tutte le altre figure, Giuseppe d'Arimatea che sorregge dalle ascelle Cristo, le pie donne, gli uomini hanno il compito di scandire lo spazio.
E il dolore , a differenza della pittura più dettagliata e naturale di van Eyck -l'altro vero protagonista della grande stagione quattrocentesca nordica!- qui è reso esplicito.
Le lacrime scorrono vere sui volti ; per la loro realizzazione Rogier ha utilizzato gocce di resina trasparente e lasciate  nel loro spessore:la tavola piange, il dipinto trasuda! 
Mai si era vista una Madonna così pallida e piangente e questo biancore è reso ancor più evidente dall'accostamento di colori complementari  della veste rossa di Giovanni con quella verde della pia donna. Il velo bianco copre a malapena i capelli e una ciocca ambrata fuoriesce dal copricapo mentre gli occhi che immaginiamo amorosi sono quasi "deformati" dalle profonde occhiaie. Si noti anche il particolare della mano sinistra di Maria accostato a quella destra e violata del figlio 
O ancora le labbra semiaperte di Maria Maddalena vestita di verde; è come se i singhiozzi fossero stati così laceranti da togliere il respiro
Le mani espressive, i panneggi cartacei, tutti questi dettagli passano poi a Mantegna. Forse Rogier van der Weiden passato a Mantova, qualcosa deve aver passato alla pittura dura del pittore italiano; la vergine piangente del "Cristo in scurto" eccola qua.
Ma qui il dolore ha cancellato con un colpo di spugna tutta la bellezza!