venerdì 14 ottobre 2016

Si fa presto a dir Barocco 2 In Europa

Roma era il fulcro , Roma era attrazione non solo per politici e religiosi
A noi interessano gli artisti
Ecco  Nicolas Poussin (1594 - 1665) che fece di Roma la sua seconda patria.
Nicolas Poussin, Et in Arcadia ego, 1638, olio su tela, Parigi, Louvre

Accademico, giunse a Roma nel 1624 e qui vi rimase . Ebbe tutto il tempo per studiare le opere classiche , che fece rivivere in molte sue opere ordinate, armoniche, dai temi mitologici..
Et in Arcadia ego mostra la concezione che un uomo del Seicento potesse avere dell'Antico; il mondo dei pastori d'Arcadia è un idillio solo di facciata.
Il giovane vestito di rosso, chino su un sarcofago, mostra alla meditabonda pastorella l'incisione che l'altro amico cerca di decifrare: anche io, Morte, sono in Arcadia e non c'è scampo agli accadimenti umani. Il quieto paesaggio è funzionale alle figure che attonite ed in cerchio (come sono ordinate nei gesti e nella postura!) sembrano meditare su qualcosa di  molto più  grande di loro.

O ancora , Claude Lorrain (1600-1682) che si innamorò di Roma e delle campagne romane e che diede per primo dignità al genere del paesaggio.
 Claude Lorrain, Paesaggio con sacrificio ad Apollo,1663, olio su tela , Cambridgeshire, Anglesey Abbey
Qui paesaggio e opere dell'uomo convivono in armonia e la luce dorata e soffusa rende caldo il dipinto.
Le esili figure umane sono contorno ad uno spazio armonioso ; quasi due secoli dopo William Turner affermò che la sua pittura era iniziata qui, in Lorrain,

Claude Lorrain, Porto marino con l'imbarco di sant'Orsola,1641, olio su tela, Londra National Gallery
Di nuovo un paesaggio, di nuovo l'idealizzazione della Natura, di nuovo l'amore per l'Antico.
La vicenda di sant'Orsola, minuta figura vestita di giallo, è pretesto per la rappresentazione di architetture di fantasia, anche se il tempietto circolare a sinistra è copia conforme di quello di Bramante di san Pietro in Montorio.

Poi Pieter Paul Rubens (1577- 1640), prolifico pittore , denigrato da Baudelaire che lo appellò "ciccia fiamminga" per ovvi motivi.
Anche lui giunse in Italia, nel 1600 .
Venezia, Genova, Mantova , ( divenne pittore alla corte di Vincenzo Gonzaga per il quale acquistò La morte della Vergine di Caravaggio, rifiutata dai Carmelitani scalzi romani) , Roma
Al suo ritorno ad Anversa la sua pittura divenne piena.
 Barocca , insomma

Rubens, Caccia alla tigre, olio su tela, 1616, Rennes, Musée des beaux arts
Scelgo questa "corposa" scena di genere realizzata qualche anno dopo il viaggio in Italia. La maestosità , i corpi possenti e michelangioleschi, il caos apparente , le linee sinuose e lo sfarzo cromatico sono prova della  capacità di Rubens di fare sì sue le istanze italiane ma anche di essere nuovo nelle terre d'Oltralpe . E quindi richiestissimo
Il sontuoso Délacroix duecento anni dopo si ricorderà di queste forme; basta vedere la sua Morte di Sardanapalo 

Eugène Delacroix, la morte di Sardanapalo, olio su tela,1827, Parigi Louvre

Poco lontano dal Belgio di Rubens, ecco l'Olanda di Rembrandt, Hals e Vermeer,

Rembrand (Leida 1606-Amsterdam 1669) fu pittore prolifico e geniale, capace di soddisfare una committenza mercantile e religiosa
Le sue grandi tele come La ronda di notte o La  lezione di anatomia del dottor Tulp sono un genere nuovo, quello dei ritratti di gruppo. Ogni persona raffigurata pagava al pittore una cifra più ,o meno alta a seconda della grandezza della figura e della posizione. 
Prendiamo ad esempio La lezione di anatomia.
Rembrandt,la lezione di anatomia del dottor Tulp, olio su tela, 1632, Mauritshuis, L'Aia
Oggi in museo, un tempo il dipinto era posto nella sede dei medici di Amsterdam e gli otto uomini in nero, i cui nomi sono diligentemente annotati nel foglio posto nelle mani della figura in secondo piano , fanno bella mostra di loro stessi e della loro professione per noi comuni fruitori.
Chiaro è che l'umico personaggio col cappello sia il "cattedratico"
Un uomo orgoglioso, puntiglioso, forse anche presuntuoso.
Ancora qui Rembrandt non aveva assimilato la calda luce caravaggesca delle opere tarde.
La più bella ?
Per me Il ritorno del figliol prodigo

Rembrandt, Ritorno del figliol prodigo, olio su tela, 1668, San Pietroburgo, Ermitage
Realizzata un anno prima della morte del pittore, ci racconta con caldissime tinte e una pennellata sfatta, quasi come le lacere vesti del giovane, quanto sia duro il "mestiere di vivere" ; eppure la morbida luce del perdono è lì, davanti ai nostri occhi, salvezza. Ed il fatto che il vecchio padre sia rappresentato cieco, accresce la forza del perdono.
Chi è in ombra forse non approva tale scelta.

Ultimo è lui ,Diego Velazquez (1599-1660)
Coetaneo di Bernini, mostrò come lui un precoce talento tanto che nel 1623 entrò come pittore alla corte di Filippo IV di Spagna e, salvo l'usuale  viaggio in Italia,  rimase a Madrid fino alla morte.
Paesaggi, nature morte (che in Spagna prendono il nome di bodegones ), ritratti, dipinti religiosi...in ognuno di questi campi Diego Velazquez mostrò una felicità pittorica ed un inventiva degna dei geni.
La sua opera più famosa, Las meninas, ha avuto spazio in pagine precedenti del blog.
Qui scelgo La resa di Breda (Le lance) .
In un'Europa lacerata dalle guerre questo episodio rende onore al "basso profilo" che la corona spagnola cercava di tenere.

Diego Velazquez, Le lance, 1634-35, olio su tela , Madrid Prado
L'opera riprende un avvenimento avvenuto dieci anni prima ed è come se il pittore , nella ricostruzione, volesse darci l'idea di essere stato presente.
Al centro del dipinto , il comandante dell'esercito dei Paesi Bassi, consegna le chiavi della città di Breda ad Ambrosio Spinola, generale genovese al servizio di Filippo IV ; l'esercito sconfitto può abbandonare il campo senza l'oltraggio riservato agli sconfitti. Armi ed insegne restano in mano loro , così come l'onore .
"Il valore del vinto fa la gloria del vincitore"; questa la frase di Spinola rivolta al nemico.
Il mondo aveva bisogno di immagini rassicuranti.
Velazquez era lì anche per questo.


lunedì 3 ottobre 2016

Si fa presto a dir Barocco Parte prima

Manifattura fiamminga del XVII secolo

1563; finisce il Concilio di Trento
1564 muore uno dei protagonisti della grande arte, Michelangelo
Nasce il Barocco
Quale l'etimologia? Dalla fine del Seicento, l'aggettivo francese baroque tratto dal portoghese barroco ,stava a delineare uno stile bizzarro e stravagante, irregolare come le perle scaramazze, di cui uno splendido esempio è dato dal monile qui sopra.
Insomma, il Barocco divenne lo stile della chiesa  controriformata, che, proprio per aver perso potere doveva mostrarsi nella sua magnificenza di facciata.
Ed ecco che il "ghiribizzo", il deviare dalle regole rinascimentali, diventa norma.
Ma si fa presto a dire barocco
C'è quello romano dei Carracci, di Caravaggio, di Bernini (dai! è lui il barocco!) e Borromini
C'è quello poetico e arcadico di Poussin e Lorrain
Quello impetuoso di Rubens, quello del Siglo de oro di Velazquez, quello olandese di Rembrandt
Qui non possiamo meticolosamente analizzarli tutti ma varrà una visione parziale e veloce

Partiamo da una chiesa:il Gesù
Giacomo della Porta, Chiesa del Gesù a Roma, 1575-77

Dove è la novità? dove il "pasticcio" barocco?
Molti sono gli elementi classici come colonne, lesene, timpani, cornici marcapiano
Ma la ridondanza, la coesione di linee curve e spezzate, gli svolazzi ..ecco tutto questo è l'inizio del barocco. Del resto questa chiesa, dalla pianta ad aula, accogliente e per nulla dispersiva, doveva sancire l'abbraccio della Chiesa militante della nuova compagnia del Gesù.
Questo modello divenne vincente, tanto che molte delle chiese delle città che noi viviamo , copiano spudoratamente questa.

E poi la pittura
Nei primi anni del Seicento a Roma erano tanti quelli che parteggiavano per la pittura del bolognese Annibale Carracci che arrivato nella città eterna si lasciò sedurre da Raffaello e la sua scuola o per quella realista del milanese Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Oggi la critica ha ridimensionato la presunta rivalità tra i due artisti che probabilmente si stimavano; certo è che le loro opere sono davvero diverse.
Prendiamone due.
Intanto Annibale Carracci.
Giunse a Roma alla fine del secolo, preceduto dalla fama della scuola -l'Accademia degli Incamminati-che insieme al fratello e al cugino aveva fondato a Bologna
Essi si muovevano nel solco della tradizione di un vero riveduto e corretto secondo i canoni del bello ed avevano l'approvazione della Chiesa tridentina ;lo pseudo realismo della sua famosissima Macelleria lo testimonia .
Chi ha mai visto macellai e bottega perfettamente puliti, senza neppure una goccia di sangue?

Annibale Carracci, La macelleria, 1585, olio su tela, Oxford, Christ Churc picture Gallery
 E così la poetica Pietà per la famiglia Farnese, oggi a Capodimonte, (il rimando iconografico alla pietà giovanile di Michelangelo è lì da vedere) mostra una morte composta, una disposizione armoniosa. Una luce però barocca, contrastata, netta nei chiari e negli scuri
Annibale Carracci, Pietà, 1598-1600, olio su tela, Napoli, Museo di Capodimonte

E poi c'è lui, il tremendo Caravaggio.
Giunse a Roma negli stessi anni di Annibale, e divenne protegé del coltissimo cardinal Del Monte
Grazie a lui nel 1599-1600 ottenne la prestigiosa commissione delle tre opere dedicate a san Matteo nella Cappella Contarelli in san Luigi dei Francesi .
Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599, olio su tela, Roma, san Luigi dei Francesi
La stringente aderenza al testo evangelico (Matteo, 9,9-13) fa di Caravaggio un lettore attento dei sacri testi.
Chi era Levi Matteo? Un esattore, un pubblicano. Un peccatore.
Ecco dunque che nella squallida taverna - una delle tante frequentate a Roma dal rissoso Caravaggio- si materializzano, come in una visione, Gesù e san Pietro (aggiunto dal pittore stesso in un secondo momento)
Qualcuno si volta verso la luce, divina e non umana e lo stesso Matteo , riccamente vestito alla moda del Seicento, risponde incredulo alla chiamata. 
La luce è la salvezza, l'ombra il peccato

Ma, si è detto. Se si pensa a Roma barocca si pensa a lui, Gian Lorenzo Bernini.
La piazza san Pietro è il suo capolavoro di "stupore e meraviglia" ; dalle strette vie medievali si giungeva, quasi per magia, all'immenso abbraccio del colonnato
Gian Lorenzo Bernini, Colonnato e Piazza san Pietro, 1556 
In modo teatrale Bernini era riuscito nel compito di nascondere la monotona facciata della chiesa, fece risaltare il "cupolone" di Michelangelo e creare un abbraccio virtuale dell'Ecclesia nei confronti dei fedeli.
Ma Bernini nasce scultore

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, marmo, Roma Galleria Borghese
Per il cardinale Scipione Borghese realizzò una serie di sculture legate ai miti del passato.
Qui la lettura attenta delle Metamorfosi di Ovidio mette alla prova la incredibile abilità tecnica di Gianlorenzo; il momento rappresentato è quello della trasformazione  di Dafne in pianta di alloro.
I piedi son già radici, le mani e la chioma già fronde. Stupito assiste Apollo
Ecco il dinamismo, le linee curve, il vortice non solo formale ma anche di passioni, può essere emblema di ciò che intendiamo per barocco.

E poi c'è il problematico e solitario Francesco Borromini.
Dal Canton Ticino giunse nella sfarzosa Roma; un bel salto!
Aveva lavorato fianco a fianco con l'astro Bernini nel Baldacchino di san Pietro ( per intenderci, quello dello scempio alla cupola interna del Pantheon)
Nel 1634 venne incaricato dai Trinitari scalzi di edificare in pochissimo spazio una chiesa e il convento. A differenza di Bernini, abituato a ricchi committenti e a spazi oceanici, Francesco Borromini deve avere a che fare con penuria di soldi e di spazio.
Il capolavoro è confezionato.
Pianta della chiesa e del convento di san Carlo alle quattro fontane, Roma
E lo spazio interno da angusto si amplifica in una cupola ad alveare dalle celle multiformi in cui ancora una volta la linea è solo curva.
L'anomala pianta della chiesa, ellittica , nata dalla proiezione del sacro triangolo equilatero, si specchia ne luminoso soffitto
Francesco Borromini, Cupola interna di san Carlino, Roma
Ogni dettaglio è studiato perché nel particolare si rivela Dio
E Dio è luce


Si fa presto a dir Barocco Parte prima

Manifattura fiamminga del XVII secolo

Finisce il Concilio di Trento: 1563
Muore uno dei protagonisti della grande arte, Michelangelo: 1564
Nasce il Barocco
Quale l'etimologia? Dalla fine del Seicento, l'aggettivo francese baroque tratto dal portoghese barroco ,stava a delineare uno stile bizzarro e stravagante, irregolare come le perle scaramazze, di cui uno splendido esempio è dato dal monile qui sopoa.
Insomma, il Barocco divenne lo stile della chiesa  controriformata, che, proprio per aver perso potere doveva mostrarsi nella sua magnificenza di facciata.
Ed ecco che il "ghiribizzo", il deviare dalle regole rinascimentali, diventa norma.
Ma si fa presto a dire Barocco
C'è quello romano dei Carracci, di Caravaggio, di Bernini (dai! è lui il Barocco!) e Borromini
C'è quello poetico e arcadico di Poussin e Lorrain
Quello impetuoso di Rubens, quello del Siglo de oro di Velazquez, quello olandese di Rembrandt
Qui non possiamo meticolosamente analizzarli tutti ma varrà una visione parziale e veloce

Partiamo da una chiesa:il Gesù
Giacomo della Porta, Chiesa del Gesù a Roma, 1575-77

Dove è la novità? dove il "pasticcio" barocco?
Molti sono gli elementi classici come colonne, lesene, timpani, cornici marcapiano
Ma la ridondanza, la coesione di linee curve e spezzate, gli svolazzi ..ecco tutto questo è l'inizio del Barocco.Del resto questa chiesa, dalla pianta ad aula, accogliente e per nulla dispersiva, doveva sancire l'abbraccio della Chiesa militante della nuova compagnia del Gesù.
Questo modello divenne vincente, tanto che molte delle chiese delle città che noi viviamo , copiano spudoratamente questa.

E poi la pittura
Nei primi anni del Seicento a Roma erano tanti quelli che parteggiavano per la pittura del bolognese Annibale Carracci che arrivato nella città eterna si lasciò sedurre da Raffaello e la sua scuola e quella realista del milanese Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Oggi la critica ha ridimensionato la presunta rivalità tra i due artisti che probabilmente si stimavano; certo è che le loro opere sono davvero diverse.
Prendiamone due.
Intanto Annibale Carracci.
Giunse a Roma alla fine del secolo, preceduto dalla fama della scuola -l'Accademia degli Incamminati-che insieme al fratello e al cugino aveva fondato a Bologna
essi si muovevano nel solco della tradizione di un vero riveduto e corretto secondo i canoni del bello ed avevano l'approvazione della Chiesa tridentina ;lo pseudo realismo della sua famosissima Macelleria lo testimonia .
Chi ha mai visto macellai e bottega perfettamente puliti, senza neppure una goccia di sangue?

Annibale Carracci, La macelleria, 1585, olio su tela, Oxford, Christ Churc picture Gallery
 E così la poetica Pietà per la famiglia Farnese, oggi a Capodimonte, (il rimando iconografico alla pietà giovanile di Michelangelo è lì da vedere) mostra una morte composta, una disposizione armoniosa. Una luce però barocca, contrastata, netta nei chiari e negli scuri
Annibale Carracci, Pietà, 1598-1600, olio su tela, Napoli, Museo di Capodimonte

E poi c'è lui, il tremendo Caravaggio.
Giunse a Roma negli stessi anni di Annibale, e divenne protegé del coltissimo cardinal Del Monte
Grazie a lui nel 1599-1600 ottenne la prestigiosa commissione delle tre opere dedicate a san Matteo nella Cappella Contarelli in san Luigi dei Francesi .
Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599, olio su tela, Roma, san Luigi dei Francesi
La stringente aderenza al testo evangelico (Matteo, 9,9-13) fa di Caravaggio un lettore attento dei sacri testi.
Chi era Levi Matteo? Un esattore, un pubblicano. Un peccatore.
Ecco dunque che nella squallida taverna - una delle tante frequentate a Roma dal rissoso Caravaggio- si materializzano, come in una visione, Gesù e san Pietro (aggiunto dal pittore stesso in un secondo momento)
Qualcuno si volta verso la luce, divina e non umana e lo stesso Matteo , riccamente vestito alla moda del Seicento, risponde incredulo alla chiamata. 
La luce è la salvezza, l'ombra il peccato

Ma, si è detto. Se si pensa a Roma barocca si pensa a lui, Gian Lorenzo Bernini.
La piazza san Pietro è il suo capolavoro di "Stupore e meraviglia" ; dalle strette vie medievali si giungeva, quasi per maglia, all'immenso abbraccio del colonnato
Gian Lorenzo Bernini, Colonnato e Piazza san Pietro, 1556 
In modo teatrale Bernini era riuscito nel compito di nascondere la monotona facciata della chiesa, fece risaltare il "cupolone" di Michelangelo e creare un abbraccio virtuale dell'Ecclesia nei confronti dei fedeli.
Ma Bernini nasce scultore

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, marmo, Roma Galleria Borghese
Per il cardinale Scipione Borghese realizzò una serie di sculture legate ai miti del passato.
Qui la lettura attenta delle Metamorfosi di Ovidio mette alla prova la incredibile abilità tecnica di Gianlorenzo; il momento rappresentato è quello della trasformazione in atto di Dafne in pianta di alloro.
I piedi son già radici, le mani e la chioma già fronde. Stupito assiste Apollo
Ecco il dinamismo, le linee curve, il vortice non solo formale ma anche di passioni, può essere emblema di ciò che intendiamo per barocco.

E poi c'è il problematico e solitario Francesco Borromini.
Dal Canton Ticino giunse nella sfarzosa Roma; un bel salto!
Aveva lavorato fianco a fianco con l'astro Bernini nel Baldacchino di san Pietro ( per intenderci, quello dello scempio alla cupola interna del Pantheon)
Nel 1634 venne incaricato dai Trinitari scalzi di edificare in pochissimo spazio una chiesa e il convento. A differenza di Bernini, abituato a ricchi committenti e a spazi oceanici, Francesco Borromini deve avere a che fare con penuria di soldi e di spazio.
Il capolavoro è confezionato.
Pianta della chiesa e del convento di san Carlo alle quattro fontane, Roma
E lo spazio interno da angusto si amplifica in una cupola ad alveare dalle celle multiforme in cui ancora una volta la linea è solo curva.
L'anomala pianta della chiesa, ellittica , nata dalla proiezione del sacro triangolo equilatero, si specchia ne luminoso soffitto
Francesco Borromini, Cupola interna di san Carlino, Roma
Ogni dettaglio è studiato perchè nel particolare si rivela Dio
E Dio è luce


giovedì 21 luglio 2016

La Cappella di Giovanni Rucellai a san Pancrazio a Firenze

"L'architettura è grande impresa, che non è da tutti poter affrontare. Occorre essere provvisti di grande ingegno, di zelo perseverante, di eccellente cultura e di una lunga pratica, e soprattutto di molta ponderatezza e acuto giudizio, per potersi cimentare nella professione di architetto. Giacché in architettura la maggior gloria fra tutte sta nel valutare con retto giudizio che cosa sia degno"
                                               ( Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, Libro IX,10)

Sei un ricco mercante che commerci stoffe e lana in tutta Europa e vuoi essere ricordato non solo per questa lucrosa attività? 
Ecco che ti trasformi in abile costruttore e scopritore del talento di Leon Battista Alberti
E tra gli anni quaranta e sessanta del 1400 tutta via della vigna nuova a Firenze è roba tua.
Prima quel modernissimo capolavoro del Palazzo, abitazione sobria e funzionale
                                                   L.B.Alberti,Palazzo Rucellai, Facciata ,1446-1465

poi l'elegante Loggia , che si abbelliva e decorava in occasione di feste "comandate" e nascite o matrimoni
                                              Leon Battista Alberti,Loggia Rucellai, 1460

ed infine uno scrigno nascosto all'interno della chiesa medievale di san Pancrazio (oggi Museo Marino Marini),: la sepoltura che lo stesso Giovanni aveva predisposto per sè e che Alberti realizzò ad imitazione del santo Sepolcro conservato nell'Anastasis * di Gerusalemme e conosciuto a Firenze grazie a diari e disegni dei pellegrini reduci dalla Terra Santa.

L.B.Alberti,Tempietto Rucellai, fronte, 1467

L.B.Alberti, Tempietto Rucellai, parte absidale

In origine Alberti aveva progettato lo spazio che "avvolgeva" il tempietto, aperto sulla navata della chiesa di san Pancrazio, a sinistra, mediante un grandioso varco sorretto da due possenti colonne, oggi reimpiegate in facciata dell'edificio diventato Museo Marini 

Facciata del Museo marini con le colonne albertiane

Ogni dettaglio di questo piccolo edificio pare davvero valutato con "retto giudizio"; del resto Alberti a questa data aveva macinato chilometri e progetti e aveva lavorato nelle più prestigiose corti italiane.

Il cardine compositivo e devozionale della cappella è da individuare nell'edicola del Santo Sepolcro a Gerusalemme: quelle le proporzioni (4,10 x 3,40 x 2,25 m.) ma il ritmo scandito dalle nove lesene scanalate e dalle decorazioni in marmo policromo è prettamente albertiano
L'entrata al sacello ha piccola porta, perfettamente in proporzione con quella del tempietto di Gerusalemme ; sopra di essa in caratteri romani, vi è l'iscrizione in onore di Giovanni Rucellai

L'abside perfettamente semicilindrica è profilata come una lucida membrana, campita da gruppi ternari delle specchiature decorate a motivi floreali ed araldici.
L'architrave corre e chiude tutto l'edificio e ospita una scritta dal vangelo di Marco ; le proporzioni delle lettere sono state studiate per rendere più eleganti e leggibili i caratteri e di sicuro i tanti disegni che l'architetto fece di dettagli delle opere antiche romane, qua rivivono.
Tra le formelle , decorate in marmo bianco di Carrara  e verde di Prato, spiccano i simboli araldici della famiglia Rucellai (la vela spiegata al vento con le sartie sciolte),
Emblema Rucellai 

i tre anelli intrecciati di Lorenzo il Magnifico (del resto Nannina, sorella di Lorenzo e nipote di Cosimo il vecchio aveva sposato Bernardo, figlio di Giovanni Rucellai)

Emblema di Lorenzo il Magnifico

il mazzocchio con le tre piume di Cosimo
Emblema di Cosimo de Medici

e l'anello di diamante con le due piume di Piero il gottoso
Impresa personale di Piero il gottoso

Un prezioso merletto marmoreo , che riprende il giglio fiorentino, chiude l'edificio.
In questa piccola opera , quasi un "divertissement" dell'anziano architetto, l'inseme ed il particolare sono strettamente collegati ed il legame decorativo con la tradizione dei modelli fiorentini (vedi la facciata di san Miniato al monte) è evidente.
Qualche secolo dopo un altro artista (possiamo chiamarlo visionario?) come Francesco Borromini dirà che tutto deve essere ber progettato . perché nel particolare si rivela Dio.
Ma questa è ancora un'altra storia

*L'Anastasis è la chiesa sorta nel 335 sul luogo del santo Sepolcro a Gerusalemme ; faceva parte di un complesso di tre chiese posizionate nei luoghi della passione di Gesù

martedì 22 marzo 2016

Tintoretto : Il ritrovamento del corpo di san Marco

Vita grama per gli artisti del Cinquecento che ebbero in sorte di vivere dopo -o peggio ancora , contemporaneamente- ai grandi Raffaello, Michelangelo e Tiziano.
Bisognava essere diversi, osare , avere fantasia...
Ernst Gombrich così scrive a questo proposito  nella sua Storia dell'arte raccontata :" ...Altri artisti di questo strano periodo fiorito all'ombra dei giganti dell'arte furono  meno scettici sulla possibilità di superarli sulla base consueta dell'abilità e del virtuosismo. Possiamo non approvare ciò che fecero, ma anche in questo caso dobbiamo riconoscere che alcuni loro tentativi sono strabilianti"
(da La storia dell'arte raccontata da Ernst H. Gombrich, ed. cons.Milano, 1995, pag.367)

A chi si riferiva in specifico? A Giambologna e a Tintoretto.
Il primo con la presenza ingombrante delle sculture di Michelangelo, il secondo con la pittura cangiante di Tiziano.
 Ecco, proprio del secondo qui si dicono due cose.
Intanto il soprannome , che gli deriva dal mestiere del padre, tintore di stoffe. Il vero cognome è Robusti
E questa pastosità cromatica ,quei colori stesi sulla tela nella quale ordito e trama sono ben visibili, sicuro gli derivano dalla frequentazione della bottega del padre.
Poi la sua città, Venezia, che a inizio Cinquecento si apre alla terraferma e pittoricamente dimostra di poter contare eccome nel panorama artistico.I Bellini, Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo sono tra i protagonisti della luce veneziana.
E lui?
Inizia con gli stessi colori carichi del maestro Tiziano, poi però tutto cambia. Le tinte si fanno fosche.
Qui analizzerò solo alcuni dipinti per la scuola grande di san Marco, antica istituzione (risale al 1260) che dal 1437 è nella splendida sede attuale, in rio dei mendicanti.
Esterno della Scuola grande di san Marco, Venezia
All'età di 29 anni, nel 1548, Tintoretto è chiamato a dipingere Il miracolo di san Marco  , oggi alle Gallerie dell'Accademia.
Tintoretto, San Marco libera uno schiavo, 1548, olio su tela, cm.416x544, Venezia ,Gallerie dell'Accademia
La scena , concitata e teatrale, è gremita di personaggi che creano una sorta di andamento sinuoso dato dalle pose. Spicca su tutti, per l'ardita visione in scorcio, la figura di san Marco che dall'alto irrompe per liberare uno schiavo a cui i carnefici stavano per spezzare gli arti  per aver venerato le reliquie di un santo.
Lo sfondo è classico ed è incorniciato da possenti squarci di architetture; i personaggi sono vestiti all'orientale.
Qui ancora i colori sono dai toni caldi e decisi, degni della tradizione tizianesca 
Si vedano le analogie cromatiche e prospettiche con la Pala Pesaro  (1526) di Tiziano ai Frari 

Tiziano, Pala Pesaro, olio su tela, 1526, cm 268 x 478, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari

Ma nel 1562, Tommaso Rangone , allora gran guardiano della scuola di san Marco, commissiono al pittore un ciclo pittorico di grandi teleri, terminati nel 1566
Il più compiuto e avvincente di questi dipinti  è questo.
Tintoretto, Ritrovamento del corpo di san Marco, 1562-66, olio su tela, Milano, Brera
La scena rappresenta l'apparizione di san Marco ai due mercanti Rustico da Torcello e Buono di Malamocco che cercano il cadavere del santo nelle catacombe di Alessandria d'Egitto.
Ma quale è la tomba giusta? Ecco allora che san Marco indica  con gesto perentorio il sarcofago che contiene i resti della propria esistenza terrena.
E il suo corpo giace riverso per terra in primo piano a sinistra, con un'ardita veduta in scorcio .
E la sua presenza opera il miracolo.
In primo piano, a destra , un invasato (il personaggio vestito di nero) si contorce e il filo di fumo che esce dalla sua bocca rappresenta rappresenta il diavolo scacciato.
Al centro è raffigurato il committente , Tommaso Rangone da Ravenna ; egli guarda implorante l'erculea figura del santo che illumina  di una luce accecante la scena.
Sullo sfondo una luce sulfurea rade le arcate della catacomba ed illumina i fili d'argento delle spettrali ragnatele.
Tutte le figure in primo piano hanno una potenza michelangiolesca , resa ancor più dinamica e drammatica dalle calde tonalità di una luce impastata.
La prospettiva  con un punto di fuga esterno al dipinto accresce il dramma  e la teatralità e le mattonelle a scacchiera si intravedono sotto i panneggi dei personaggi.
Eccolo in metodo Tintoretto: prima costruire l'architettura , poi porre i personaggi.
Proprio questo (veramente non solo questo) non piaceva a Vasari.
"Ha costui alcuna volta lasciato le bozze per finite, tanto a fatica sgrossate, che si veggiono i colpi de' pennegli fatti dal caso e dalla fierezza, piuttosto che dal disegno e dal giudizio"
                                                  Giorgio Vasari, Vita di Tintoretto
Ma è proprio questa la novità della sua pittura, visioni di scorcio, movimenti esasperati e "di maniera", luce irreale e pastosa sono tutti elementi che accrescono drammaticità.
La bellezza e l'ordine di Raffaello e del primo Tiziano sono svanite.
La strada da percorrere era nuova, con qualcosa di "vecchio", con i semi che poi Caravaggio avrebbe innaffiato.
Le altre due opere relative alle storie di san Marco sono
San Marco salva un saraceno da un naufragio, 1566, olio su tela, cm.398 x 336, Venezia , Gallerie dell'Accademia
Il trafugamento del corpo di san Marco,1566, olio su tela, cm. 398 x 315, Venezia , Accademia
E qui le pennellate sono ancora più sfatte, le figure in secondo piano ancora più sfilacciate e indefinite, le pose ancor più contorte e a serpentina.
Assiste alla scena a sinistra, a fianco del massiccio dromedario, lo stesso pittore che guarda verso di noi e cerca una sorta di complicità del nostro sguardo.
Era consapevole di aver intrapreso una strada nuova con queste opere il cui fine ultimo forse non era piacere ma commuovere.


domenica 28 febbraio 2016

Donatello (1386-1466) e la nuova scultura

"Gli scultori che noi abbiamo chiamati vecchi, ma non antichi, sbigottiti 
dalle molte difficultà della arte, conducevano le figure loro sì mal
composte di artifizio e di bellezza, che o di metallo o di marmo che
elle si fussino ,altro non erano però che tonde;sì come avevano essi
ancora tondi gli spiriti e gli ingegni stupidi e grossi "

Giorgio Vasari, da "Le vite"1550 , vita di Donato

Donatello, Profetino,1406-9, Firenze, Museo di santa Maria del Fiore
Questa la situazione della scultura a Firenze ad inizio Quattocento
Poi arriva lui, Donatello.
Certo è in buona compagnia; studia alla bottega di Lorenzo Ghiberti, viaggia e lavora con l'uomo nuovo Brunelleschi, conosce e "interagisce" con due altri scultori del calibro di nanni di Banco e Luca della Robbia.
Ma la nuova scultura nasce con lui. In fin dei conti artista nuovo è colui che crea un linguaggio nuovo e che è sempre un passo avanti; quando ti sei abituato al sui stile, ecco che si cambia registro.
E Donatello, ogni volta ci spiazza con un'opera nuova .
La sua vita fu lunga e densa di spostamenti ed opere. Nacque a Firenze nel 1386 e qui morì nel 1466.
Si formò, come detto , alla bottega di Ghiberti e lavorò nel "cantiere dei cantieri", l'Opera del Duomo, con tante opere.
Qui ne scelgo solo alcune, che rappresentano però la volontà del cambiamento , attraverso la memoria dell'Antico.
La prima: il san Giorgio per Orsanmichele

Intanto due cose veloci veloci su questa struttura che nacque nel 1290 su progetto di Arnolfo di Cambio .Egli  eresse una loggia destinata al mercato del grano sui resti dell'oratorio di san Michele (ecco la ragione del nome!) a sua volta risalente all'VIII secolo.
Dopo varie vicissitudini, la loggia fu murata in basso e trasformata in chiesa , mentre la parte alta divenne deposito di granaglie da utilizzare in periodi di carestia; nelle pareti esterne, le varie corporazioni di arti e mestieri , fecero a gara per abbellire le nicchie con statue dei santi protettori.
L'arte della Lana, di Calimala, quella dei pellicciai, la corporazione degli orafi ed altri affidarono a scultori fiorentini opere che alloggiavano sui muri della costruzione.
Ecco la ragione del san Giorgio, protettore della corporazione degli Armaioli (oggi l'originale è al Bargello e lungo la via Orsanmichele, sul lato nord, c'è una copia)
Orsanmichele, veduta esterna, lato nord
Donatello, che a questa data, presumibilmente il 1416, aveva gìà compiuto più di un viaggio a Roma alla scoperta dell'Antico insieme all'amico Filippo Brunelleschi, si pone subito il problema di attualizzare il santo.
Era un guerriero, gli sponsor-diremmo noi oggi- erano coloro che fabbricavano corazze ed armi e dunque ciò che ben doveva risaltare erano lo scudo e i calzari.

Proprio lo scudo, dalla forma romboidale allungata crea, grazie alla verticale della croce scolpita, una linea guida che porta il nostro sguardo (dal basso verso l'alto) al nobile volto che nulla ha del santo ma tanto del fiero eroe moderno. 
Le sue gesta sono raccontate nella predella , incorniciata da due scudi scolpiti
Il guerriero a cavallo è colto nel momento in cui sta per infilzare il drago sotto gli occhi della principessa di Trebisonda. Lo sfondo, quasi disegnato secondo le nuove regole della prospettiva brunelleschiana, crea un contrasto tra la grotta del drago/il disordine del male e le arcate a destra ovvero l'ordine del bene. E il primo cielo atmosferico, percorso da nuvole , dell'arte italiana è qui, nello stiacciato (ecco la memoria dell'Antico ed i rilievi della Colonna Traiana!)

Altra città, altra opera, altra tecnica
Donatello, Il banchetto di Erode, Siena, fonte battesimale,1423/27, bronzo

Siamo a Siena, città in competizione con Firenze. Anche qui non si bada a spese e tra le tante nuove commissioni c'è quella per il fonte battesimale.
Lavora il raffinato Jacopo della Quercia, coadiuvato da Ghiberti e Donatello.
E qui l'artista raffigura su più piani il culmine del dramma: l'offerta della testa del Battista al banchetto di Erode.

Osserviamolo
Sul fondo, mirabilmente rappresentato con una tecnica di stiacciato memore della lezione prospettica di Brunelleschi, un'ancella porta sul piatto la macabra offerta; classiche arcate descrivono lo spazio
La pavimentazione a losanghe contribuisce a delineare la griglia prospettica
Ma il dramma è in primo piano e non possiamo fuggire all'orrore, proprio come uno dei convitati che nasconde per metà lo sguardo , come Erode che con il gesto eloquente delle mani poste avanti sembra respingere il gesto da lui comandato , o come il bimbo ai suoi piedi che inorridito vorrebbe fuggire.
Ancora una volta l'azione, la scelta da parte dello scultore di dare vita alla materia .

Di nuovo Firenze, qualche anno dopo.
Siamo nel cantiere di santa Maria del Fiore, sotto la cupola quasi conclusa (ah, Donatello faceva parte del cantiere della cupola del Duomo, chiamato per consulenze da Brunelleschi).
Sopra le porte delle sacrestie, quella dei Canonici e quella delle Messe, si era deciso di porre due cantorie, cioè balconate destinate ad ospitare i coristi - spesso voci bianche-addetti ai canti liturgici.
La prima fu affidata a Luca della Robbia che illustrò nei riquadri  classicamente inquadrati da lesene binate, il salmo 150, cioè la lode a Dio attraverso i suoni di cetre, arpe, tamburi, trombe e danze.
Posta a sud, la Cantoria vibrava di luce solare
Luca della Robbia, Cantoria, 1431-38,Museo dell'Opera del Duomo, Firenze

La Cantoria di Donatello invece era  a nord, quindi sempre in ombra.
Ecco allora che l'artista decide di animare la danza sfrenata di puttini scarmigliati con uno sfondo di tarsie dorate e multicolori, memori delle decorazioni che Arnolfo di Cambio aveva previsto per l'involucro esterno di santa Maria del Fiore.
L'attenzione filologica al contesto architettonico è qui testimoniata proprio da questo accorgimento, utilizzato per dare ancor più dinamismo alla composizione.
Donatello, Cantoria, 1433-40, Firenze, Museo dell'Opera del Duomo

Tarsie marmoree del XIV sec., Firenze, Museo dell'Opera del Duomo
Rispetto a Luca della Robbia, Donatello sceglie di dare più profondità alla danza, grazie alle colonne policrome binate che aggettano rispetto ai bassorilievi; la danza "dionisiaca" dei putti ed il loro panneggio classico, mediato da un sarcofago pagano mostrato allo scultore attraverso disegni di Ciriaco d'Ancona, rende mobile il capolavoro che sicuramente era illuminato dalle candele in chiesa.

E adesso, per i Medici!
Donatello, David, 1440, Firenze, Bargello
Al centro del cortile del palazzo Medici Riccardi, appena concluso da Michelozzo, faceva bella mostra di sè questo bronzetto, posto sopra una colonna creata da Desiderio da Settignano.
Subito il giovane David vittorioso sulla brutalità di Golia , divenne il simbolo della casata Medici, da poco rientrata a Firenze.
All'inizio della sua carriera Donatello aveva già affrontato il tema del David (era stata realizzata per santa Maria del Fiore, ben presto però collocata in piazza della Signoria) , ma in quest'opera matura la figura del giovane re d'Israele non è più ammantata ma nuda: è il primo nudo a tutto tondo dell'età moderna ed è chiara l'intenzione di Donatello di voler competere con l'Antico
Donatello, David, marmo, 1408-09, Firenze, Bargello
Rispetto però alla ieraticità di tante statue classiche, qui lo scultore fiorentino dona al giovane David una vita propria: il profeta è colto l'attimo dopo l'impresa, ancora incredulo , col sorriso di un adolescente colto in un'espressione stupita, con un corpo come quello degli adolescenti, non più bambino e non ancora uomo, dall'equilibrio instabile tanto che il chiasmo è risolto a metà, con la spada usata come sostegno e non strumento di forza. 
La testa del nemico, senza alcuna ferita sulla fronte, quasi si confonde con la piccola corona d'alloro usata come basamento.
L'ormai maturo Donatello può permettersi queste "variazioni" sull'Antico e può mostrare come sia a lui congeniale cambiare registro.
E poi c'è una delle sue ultime opere, la più straniante, quasi una meditazione sulla vecchiaia e sulla morte
Donatello, Maddalena,legno, 1453-55, Firenze, Museo dell'Opera del Duomo
Nella splendida sala del rinnovato Museo dell'Opera del Duomo, campeggia in solitudine la statua che era stata ideata da Donatello per il Battistero fiorentino  ; a destra, in una muta relazione trova spazio la Pietà del Duomo , di Michelangelo
Michelangelo, Pietà, 1547/55 ,Firenze, Museo dell'Opera
e il parallelismo tra queste opere tarde di due grandissimi artisti, è stato giustamente ricercato.
Maddalena, donna che era stata bellissima, qui è raffigurata impietosamente come una mummia, col volto scavato e le ossa in evidenza, vestita dei suoi soli capelli, resi preziosi dall'aggiunta di pagliuzze d'oro sul legno di pioppo bianco. Le mani sono quasi giunte in preghiera e dalla bocca semiaperta si intravede la chiostra dei denti. E' come se la santa stesse recitando, con una flebile voce, la preghiera ultima
Sappiamo che , per rendere ancora più realistica la scultura, Donatello la dipinse e la integrò con stoppa (per i capelli) e gesso (per altre finiture). Nella Firenze di metà Quattrocento, totalmente diversa da quella di inizio secolo, Maddalena rappresenta la crisi e il superamento di quel classicismo di cui Donatello era stato da giovane uno dei principali rappresentanti.
Lo stile è cambiato di nuovo, ma questo diverso registro non piacque.
L'artista morì in solitudine ma qualche decennio dopo , Michelangelo lo "sdoganò" e ne fece punto d'inizio per le tante sue sperimentazioni.
Ma questa è altra storia