domenica 24 novembre 2013

Van Eyck, ovvero l'invenzione della pittura ad olio . Il fidanzamento degli Arnolfini

Olanda. Solo in una terra del Nord, con un tempo di luce minore e diverso rispetto alle nostre latitudini, poteva nascere la pittura ad olio.
E solo la ricca borghesia quattrocentesca , di queste terre e della nostra Toscana, poteva approvare una pittura , come quella ad olio, versatile e adatta a celebrare ogni bene materiale.
E qui c'è Van Eyck, che nella sua vita (nacque forse intorno al 1390 a Maastricht e morì a Bruges nel 1441)  ha "inventato" la pittura ad olio e ci ha regalato opere memorabili.
Prima opera da lui firmata fu il Polittico dell'Agnello mistico (1432) , vera e propria macchina scenica che si apriva ai fedeli nella chiesa di san Bavone a Gand in minuzie preziose ed in giochi prospettici che attestano una conoscenza delle sperimentazioni italiane
L'episodio centrale, L'adorazione dell'Agnello mistico , secondo quanto L'Apocalisse tramanda, l'Agnello vivo e sanguinante è in piedi sull'altare e un'umanità ordinata fa corona alla manifestazione.
I dettagli, curatissimi, raccontano gli esordi di van Eyck come miniaturista e la sua attenzione misurata va dai profeti raffigurati coi libri aperti in mano alla torre dietro l'altare, il campanile di Utrecht
Passano due anni
Il ricco banchiere lucchese Giovanni Arnolfini è a Bruges con la futura moglie Giovanna Cenami , ricca pure lei, non bella pure lei.
L'arte a quei tempi era strumento per consolidare alleanze e così messer Arnolfini che godeva di una posizione di prestigio presso la corte di Filippo il Buono , chiede ad un artista del luogo un ritratto sontuoso e nello stesso tempo sobrio.
E così all'interno di una camera nella quale spicca un purpureo letto a baldacchino che contrasta ancor più per l'accostamento alla  veste verde di Giovanna, i protagonisti si danno la mano.
Al centro uno specchio convesso (e la cornice riporta le stazioni della via Crucis) riflette uomo, donna e altre due persone, una delle quali sicuramente il pittore (Joannes de Eyck fuit hic 1434 ), testimoni forse della promessa di matrimonio tra i due.

Lo specchio, che invenzione qui! Non solo ci mostra altri due personaggi nella stanza, ma fa intravedere un albero fiorito (un ciliegio?) nel giardino e un soffitto a cassettoni che amplia lo spazio di questa scatola prospettica.
(E certo che duecento e più anni dopo Velazquez se ne rammenta per le sue Meninas...)
Ogni oggetto all'interno della stanza ha una sua ragion d'essere: dal cagnolino vicino alla donna, che dovrà dunque essere fedele al coniuge, alle arance sul davanzale, costoso frutto del sud che alludeva anche al pomo proibito - e quindi al fuggire il peccato-.
O ancora dalle vesti ricchissime (pelliccia di visone per lui, ermellino nelle ampie maniche del vestito di Giovanna, verde come la fertilità che si augurava alla coppia) al lampadario con solo una candela già consumata, allusione chiara allo scorrere del tempo
E sulla testata del letto non può mancare, insieme ad una santa intagliata nel legno, la scopina scacciaguai!
 
 

Ma l'arte, che è imitazione della Natura, per un fiammingo è realismo. E così i due personaggi sono ritratti come realmente erano: lui col naso pronunciato e le narici dilatate, lei paffuta e vanitosa.
Per fare questo la pittura ad olio era perfetta: tante sfumature, una resa cromatica e luministica eccellente che ci permette di godere della diversa consistenza dei materiali, dall'ottone del lampadario alle venature del parquet.
Qualche decennio più tardi il nostro "nordico" Antonello da Messina aggiungerà ai preziosismi fiamminghi ,lo spazio italiano.
Ma questa è un'altra storia







 

martedì 19 novembre 2013

Il paesaggio con zingara ovvero La Tempesta di Giorgione

Come per tutte le opere "fondanti" , anche La tempesta è mistero.
Poco si sa se non che è stata dipinta dal pittore di Castelfranco Veneto intorno al 1506/08, che è un olio su tela (sì , tela e non tavola!) , che è piccina -82x73 cm e che è alle Gallerie dell'Accademia a Venezia. Il resto sono ipotesi, congetture, divertimenti..
Nella più antica descrizione del dipinto, lasciataci da Marcantonio Michiel, mercante veneziano, nel 1530 (testimonianza però scoperta solo nell'Ottocento) , si parla di "el paeseto in tela cun la tempesta, cum la cingana (zingara) et soldato de mano de Zorzi da Castelfranco". Egli lo aveva ammirato a casa di Gabriele Vendramin, altro ricco lagunare.
Dunque attribuita a Giorgione grazie a questa Notizia.
Del resto l'unica opera certa del pittore di Castelfranco è un frammento di affresco già al Fondaco dei Tedeschi degli inizi del Cinquecento; gli altri capolavori- la Venere di Dresda, I tre filosofi, e appunto questo quadretto, sono stati a lui attribuiti attraverso menzioni e non documenti certi.

Ma cosa vi è qui raffigurato?
Non esiste un'ipotesi più corretta delle altre, sono solo supposizioni, il che rende ancor più "magico" il dipinto.
C'è chi, come Rudolf Schrey, in uno studio dei primi del Novecento, propose un soggetto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e qui vide Deucalione e Pirra raffigurati; chi, come Wickhoff , sempre negli stessi anni, associò l'opera alla Tebaide di Stazio , chi invece di recente (Salvatore Settis) ha parlato di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso, notando una somiglianza stringente con un rilievo di Amadeo del 1472 posto sul mausoleo di Bartolomeo Colleoni a Bergamo
Ed effettivamente la donna nuda e il bambino da una parte, l'uomo con la lancia dall'altra, hanno una stringente somiglianza con La tempesta.
Però Adamo ed Eva cacciati sono sempre raffigurati entrambi nudi, in tutte le stampe coeve.
L'ipotesi ultima che ha preso piede- forse un po' romantica- è che questo mirabile dipinto sia il primo quadro libero della storia dell'arte.
E' un paesaggio, perché il paesaggio la fa da padrone: dalla città in secondo piano, al di là del fiume, al cielo col fulmine, dalle rocce agli alberi. Le figure, che ci siano o no, sono un contorno.

Ma questo paesaggio come fu dipinto? Ecco la tecnica innovativa di Giorgione, quella che noi si chiama "pittura tonale". In cosa consiste? Intanto nell'uso di un nuovo supporto, la tela di lino, più versatile , più elastica per supportare i colori ad olio rispetto alla tavola di legno, più adatta all'umido clima di Venezia.
Poi l'uso di toni di colori  sfumati per dare l'idea di vicinanza/lontananza, reso ancor più evidente dall'abolizione , qui, come nelle altre opere di Giorgione , del blu.
Via il blu! E' un colore freddo , che avrebbe tolto equilibrio all'opera, tutta giocata su un'armonica distribuzione del colore e su un'idea evocata di leggerezza ribadita da una tela senza imprimitura.
In sostanza il colore non è steso sulla tela preparata e immersa in un bagno di colla , ma lasciata così. leggera, senza neppure il disegno preparatorio.
Insomma, Giorgione dipinge al tratto, senza ripensamenti, e se sbaglia dipinge sopra .
 
Secoli dopo, guarda caso, coloro che riscoprirono l'arte di Giorgione, pittore moooolto più attento al colore che non alla forma ,anche se le forme sono splendide !, furono Manet e Monet
Forse che la Colazione sull'erba di Manet non parte dai pensieri sulla potenza d'equilibrio del verde?
 
 
 
E forse che la serie delle Cattedrali di Rouen di Monet non sia il trionfo del colore e della luce dunque? Perché questa è la pittura