giovedì 8 maggio 2014

Boccioni e la doppia serie degli "Stati d'animo

Ognuno di noi ha avuto, ha , avrà un anno "speciale".
Bene, quello di Umberto Boccioni è stato il 1911.
Ha ventinove anni, ha finalmente trovato la città che sente sua, Milano, ha conosciuto l'esuberante Filippo Tommaso Marinetti che è pronto a proiettarlo nel firmamento artistico internazionale.
La pittura ormai  la mastica con successo, dopo aver seguito a Roma nei primi anni del Novecento gli insegnamenti di Giacomo Balla e a Milano i preziosi consigli di Gaetano Previati.
Tutti e due, seppur in maniera diversa, divisionisti.
Vende al musicista Ferruccio Busoni, proprio nel 1911 La città che sale, policromo inno alla vita e, fiducioso per i buoni riscontri di critica, si appresta a dipingere un trittico dedicato agli stati d'animo moderni.
Ne nasce la prima versione, quella conservata al Museo del Novecento a Milano.
Il trittico era "di moda" tra i divisionisti italiani : nel 1907 Previati aveva dipinto con una pennellata sfilacciata e con colori luminosi il Trittico del giorno (qui sotto riporto il pannello centrale, tutta l'opera è a Milano alla Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura)

 e il solitario Segantini aveva dipinto il Trittico delle Alpi ,conservato a Saint Moritz, nel museo a lui intitolato

Quello di Boccioni però non vuole avere nulla di simbolico e stucchevole e l'ambientazione non sarà più la Natura benigna e immaginata ma il moderno: la stazione ferroviaria.
E così nascono i tre dipinti degli Stati d'animo prima maniera  che sono Gli addii al centro e ai lati Quelli che vanno e Quelli che restano.

Vediamoli.
Umberto Boccioni, Stati d'animo I.Gli addii, 1911, 58,4 x 86,4 cm, Milano Museo del Novecento
Con una pennellata memore delle tendenze espressioniste e della linea sinuosa e agitata di Munch (pittore molto amato dal Boccioni di questo periodo) , l'artista dipinge al centro dell'opera un abbraccio che a fatica si scioglie tra due persone. La visione è dall'alto e la ripetizione di altre due coppie, più piccole e decentrate rispetto alla prima, rende l'addio ancor più doloroso. Il colore, pastoso e filamentoso, contribuisce alla creazione di un clima di "angoscia da separazione".

Umberto Boccioni, Stati d'animo I. Quelli che restano, 1911, 71 x 96, Milano, Museo del Novecento
Ecco come immagina chi rimane mentre tu sei partito: fermo, piegato e chiuso nel dolore del distacco. Il colore? quello dell'equilibrio, della staticità: il verde. La pennellata? sempre "espressionista" e "fauve" (nel 1906 Boccioni era stato a Parigi ed aveva conosciuto Matisse, oltre che Picasso "rosa") con filamenti verticali, quasi lacrime copiose che annebbiano la vista.
Anche gli alberi, sagome stilizzate, sono spogli.


Umberto Boccioni, Stati d'animo I. Quelli che vanno, 1911, 71 x 95, Milano, Museo del Novecento
Il dinamismo, tema forte del futurismo, qui è reso grazie ad un'immagine vista dal finestrino di un treno in movimento: tutto sfugge veloce come le case in alto a destra ancora ben strutturate e in verticale che in alto a sinistra sono raffigurate in diagonale. Il treno acquista a poco a poco velocità ed il paesaggio diventa meno riconoscibili. Lo spettatore - noi sul treno che dal finestrino osserviamo- è rappresentato dal volto tagliato posto all'estrema sinistra del dipinto. Ecco come si fa a rappresentare la velocità!

Poi , verso fine anno Boccioni torna a Parigi.
Il giovane Picasso aveva ormai stupito il mondo col suo cubismo ; di questo periodo è il Ritratto di Ambroise Vollard (olio su tela, 92 x 65, Mosca, museo Puskin)

e Boccioni non resta insensibile alle scelte dello spagnolo. Quella "dislocazione e smembramento degli oggetti, sparpagliamento e fusione dei dettagli, liberati dalla logica comune e indipendenti gli uni dagli altri" riferiti alle opere  di Boccioni post 1911, sono esplicito riferimento alla scomposizione cubista.
Al ritorno a Milano ecco la seconda versione degli Stati d'animo , risciacquati nella Senna.

Umberto Boccioni,Stati d'animo II. Gli addii, 1912, 70,5 x 96,2, New York, MOMA
Ecco la scomposizione cubista a cui  Boccioni aggiunge il colore e il movimento.
Al centro la locomotiva, di cui riconosciamo il numero di serie, lo spoiler, i fari, sembra farsi spazio tra una mesta folla di persone che sono rimaste sulla banchina della stazione. Il colore della velocità è un'onda rossa con arcobaleni gialli e blu; il colore della staticità è il verde. L'abbraccio di nuovo ripetuto è reso grazie alla scomposizione dinamica dei volumi.
In secondo piano le arcate in ferro battuto della stazione (sicuramente quella Centrale  di Milano) ed un palo dell'elettricità delineano il nuovo paesaggio urbano.

Umberto Boccioni, Stati d'animo II. Quelli che restano, 1912, 71 x 96 cm., New York MOMA
La seconda versione è una variazione sul tema della prima: stesso colore, stessa malinconia resa da una "ferma" cascata di lacrime, stessi personaggi che si palesano a noi , dal più grande e vicino a sinistra al più piccolo e lontano in alto a destra.
Umberto Boccioni, Stati d'animo II. Quelli che vanno, 1912,  71 x 96 cm. , New York, MOMA
Stessi colori dell'opera gemella (blu e giallo, freddo e caldo per rendere con più vigore il contrasto tra chi resta e chi parte). I volti qui però sono già maschere, o per dirla "alla Boccioni" , degli Antigraziosi (simpatico neologismo per non utilizzare la parola "brutto") , mediate dalle opere cubiste di Picasso.
Umberto Boccioni, Antigrazioso 1913,Roma, galleria d'arte moderna.
La staticità, l'accademismo mascherato, l'incuranza del soggetto, tutte accuse mosse dai futuristi ai "cugini" cubisti, eccole superate.
Nel 1913 arriverà Forme uniche della continuità dello spazio.
Che è di nuovo altra storia.

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