domenica 6 ottobre 2013

Piero della Francesca, ovvero la luce

San Sepolcro, Firenze,  Arezzo,Rimini, Urbino.
In questi splendidi luoghi si è dipanata la vita del più geometrico e luminoso pittore del Quattrocento italiano
A San Sepolcro è nato (1412? 1417)
A Firenze ha lavorato con Domenico Veneziano, grande pittore ma sicuramente isolato rispetto ai toscani

Domenico Veneziano, Pala di santa Lucia dei Magnoli, 1445 ca
Ad Arezzo , in san Domenico, ci ha lasciato un ciclo, quello sulla Leggenda della vera croce tra i più compiuti della nostra arte.
A Rimini ha immortalato Sigismondo Malatesta e i suoi levrieri
Ma è a Urbino che le sue opere lasciano il segno e ci fanno dire : "Ecco, questo è Piero!"

Siamo nel 1472. Il signore di Urbino Federico di Montefeltro celebra la nascita dell'erede, Guidobaldo , la vittoria su Volterra al soldo dei fiorentini (e questa conquista fa di lui il guerriero più ammirato in Italia) , ma piange anche la morte di Battista Sforza il 6 luglio, cinque mesi dopo aver partorito il bimbo. Un anno , insomma, di gioie grandi e dolori.
Tutto questo e ovviamente altro, è racchiuso nella Pala di Brera

Dove era collocata? Forse nella chiesa francescana di san Donato degli Osservanti, dove per un certo periodo Federico di Montefeltro fu sepolto ; la chiesa di san Bernardino a Urbino, dove era collocata prima che "passasse" nel 1811 alla Pinacoteca di Brera, venne edificata tra il 1483 e il 1491, quindi dopo il dipinto di Piero, e qui i coniugi Montefeltro sono sepolti
 

E chi sono i personaggi di questa sacra conversazione?
In una splendida architettura albertiana, l'abside di una chiesa, campeggia al centro, alta quanto gli altri personaggi, ma gerarchicamente  possente, in quanto seduta su un trono, la Vergine che contempla il figlio addormentato sulle sue ginocchia. Alla sua sinistra, si inginocchia devoto Federico in armatura fiammante.
E dunque a sinistra san Giovanni Battista, patrono di Battista Sforza, indica Gesù; dietro di lui san Bernardino, di cui vediamo solo il volto e il primo martire Stefano.
Quattro preziosi angeli fanno da coronamento a Maria ; gli altri tre santi sono Francesco, che mostra la ferita sul costato e che tiene  nella mano sinistra ina croce in cristallo di rocca, poi Pietro martire da Verona , con la ferita sanguinante in testa e san Giovanni evangelista.
Giovanni/ Giovanni. Il prima e il dopo.
Esiste un legame fortissimo tra il committente inginocchiato e Maria, tanto che in molti hanno voluto vedere nella raffigurazione della Madonna un criptoritratto di Battista Sforza ormai morta.
Come è strana, per esempio , questa Vergine che in modo distaccato, mostra a noi il bambino. Gli occhi sono socchiusi, le mani giunte in preghiera, quasi come dovesse vegliare su un bimbo, Guidobaldo, nato senza madre. E il piccolo mostra a noi una collana di corallo rosso che è sì prefigurazione della passione e del sangue di Cristo, ma anche portafortuna per colui che dovrà vivere senza l'affetto di una madre. E la veste di Maria, solitamente rossa (rimando alla passione) qui si cangia in un damasco prezioso , lo stesso della mantellina di Federico.
Battista Sforza non c'è ma c'è, insomma.
E le figure ad esedra segnano ancor di più l'abside per metà illuminata da una finestra che non  vediamo se non riflessa sulla spalla armata del condottiero.
Sotto pieno, sopra vuoto!
Quando Bramante- di Urbino- crea la famosa "prospettiva in santa Maria presso san Satiro a Milano, ha ben davanti agli occhi il capolavoro di Piero

E al centro della conchiglia, proprio sulla testa di Maria, pende un uovo di struzzo. Conchiglia ed uovo rimandano al ventre materno e al suo frutto, ma lo struzzo era anche presente nelle insegne dei Montefeltro.
Ma al di là di tutto questo, la bellezza dell'opera è nella sua semplicità; ogni volta che noi la si ammira oggi nella minimalista sala di Brera, ci si para davanti sempre nuova.
Antonio Paolucci scrisse nel 2003:"Come non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, così non si può guardare due volte la stessa cosa. Per fermare il "miracolo" dell'apparenza fenomenica e consegnarlo all'eternità che solo l'arte può garantire, bisogna fermare il tempo. E' quello che ha fatto Piero della Francesca a Urbino, lavorando alla pala votiva di Federico da Montefeltro , negli anni tra il 1472 e il 1474"
Ma accade anche per altre opere...

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