lunedì 22 settembre 2014

L'arte al tempo del parastato


Oggi copio e incollo l'articolo di Alberto Mattioli sulla Stampa (22 settembre 2014)
Da leggere integralmente
E poi piangere
Muovere la testa a ritmo? Va bene se c’è l’indennità
La Stampa, lunedì 22 settembre 2014
Muti abbandona l’Opera che affonda. Magari servirà finalmente ad accendere i riflettori mediatici su quello che tutti sanno e nessuno ha il coraggio di dire: con queste regole e con questi sindacati, i teatri lirici italiani sono ingestibili. Mai come all’opera le tutele si sono trasformate in privilegi, il precedente è diventato legge, l’abuso abitudine. Fellini, che conosceva i suoi polli, aveva già capito e raccontato tutto in «Prova d’orchestra». Ma come sempre in Italia la realtà supera la fantasia e l’elenco delle follie è più lungo dell’«Anello del Nibelungo». Per carità: formalmente, tutto è in regola, come da comma due dell’articolo tre. Ma gli effetti sono devastanti.
Qualche esempio? Alla 
Scala, ultima stagione, sono arrivati «Les Troyens» di Berlioz coprodotti con il Covent Garden di Londra. Però a Milano c’era un intervallo di più, perché qualche regola idiota impone che non si possano accorpare più atti se la loro durata eccede quanto stabilito dal contratto. Inutili le richieste dal podio di un esterrefatto sir Antonio Pappano. Risultato: l’opera, già lunga di suo, è diventata interminabile. Invece la prima del balletto «Romeo et Juliette» di Sasha Waltz, sempre alla Scala, nel 2012 saltò del tutto. I coristi, che dovevano muovere la testa a ritmo di musica, chiesero l’indennità da «prestazione speciale», i ballerini una gratifica perché il palcoscenico era stato leggermente inclinato dallo scenografo. Il sovrintendente Stéphane Lissner disse no e lo spettacolo non si fece.
Poi c’è il problema del freddo. Si ricordano proteste e assemblee, dal Carlo Felice di 
Genova al Massimo di Palermo, perché in buca la temperatura era di qualche grado più bassa di quanto previsto. A Palermo i professori si presentarono polemicamente in cappotto (a Palermo, non a Stoccolma). Le indennità sono un capitolo a parte. Indennità lingua per i coristi perché disgraziatamente Wagner o Bizet hanno avuto la cattiva idea di non scrivere in italiano, indennità frac per i professori d’orchestra, indennità umidità se lo spettacolo è all’aperto, indennità video se viene ripreso. All’Arena c’è l’indennità arma, giusto compenso alla fatica di dover portare l’alabarda nel «Trovatore» o lo scudo in «Aida». Un’estate il regista di «Nabucco», Denis Krief, decise che ne aveva abbastanza e fece irrompere nel tempio di Gerusalemme degli assiri perfettamente disarmati. L’Opera di Roma paga (cioè, noi paghiamo) un’«indennità Caracalla» anche agli impiegati, che alle Terme di Caracalla, sede della stagione estiva, non ci mettono mai piede né mai ce l’hanno messo.
Del resto, il contratto nazionale degli orchestrali prevede 28 ore settimanali di
 lavoro, e tanta gente in permesso artistico da unteatro e la trovi poi a suonare in un altro... Qui davvero o si cambia o si muore. Lo dimostra il fatto che alla Fenice di Venezia e al Regio di Torino, i due teatri italiani migliori, grazie a dei dipendenti responsabili si è riusciti a fare quel che sembrava impossibile: aumentare la produttività a livelli europei.
L’Opera di 
Roma è sempre stata il peggio del peggio, altro che «vertice della produzione lirica mondiale» come da comunicato mitomane che annuncia l’addio di Muti (o i pezzi dei giornalisti di corte sul «miglior teatro italiano», sì, ciao core). Il fondo lo si toccò a una prova della «Valchiria» diretta dal grande Giuseppe Sinopoli in un teatro pieno di studenti. Alla fine, Sinopoli annunciò ai ragazzi: «Adessovii facciamo sentire il tema della spada». Servivano pochi secondi, ma si alzò un sindacalista e disse: «Maestro, la prova è finita». Sandro Cappelletto, che era in sala, vide Sinopoli spezzare la bacchetta per la rabbia. Del resto nella capitale la musica «è» Santa Cecilia, non certo l’Opera. All’Opera facciamoci un parcheggio. 

Alberto Mattioli

lunedì 8 settembre 2014

Settecento Un secolo breve 1715 1789 parte seconda La pittura

 Il quadro è un palcoscenico e i personaggi sono gli attori
William Hogarth 


Tutto un secolo in un film, anzi nel film più pittorico che io conosca, Barry Lyndon  ( 1975 ) di Stanley Kubrick! Ovvio che , anche a spizzichi e bocconi (dura più di tre ore) è auspicabile guardarlo!

Dell'architettura già si è detto. Ora tocca alla pittura, anche qui con alcune opere cameo di alcuni artisti di questo secolo.

Si parte! il primo è Giovanni Antonio Canal detto Canaletto  ( nato e morto a Venezia 1697- 1768)
Prima scenografo, poi vedutista;  all'inizio "costretto" in tele dai tagli a effetto e da forti contrasti chiaroscurali. Poi scopre questo oggetto (è proprio il suo, conservato al Museo Correr a Venezia)

E' la camera ottica, antenata della macchina fotografica. Con questa  (al procedimento rimandiamo ad approfondimenti) , i pittori, soprattutto quelli di vedute, riuscivano con la tecnica del ricalco ad ottenere architetture precise che poi assemblavano nei dipinti. Si vedano questi disegni di Canaletto
precisi e puntuali, una pittura "alla ricerca dell'oggettivo, preoccupata solo di mettere in chiaro le strutture e il funzionamento della mente" (è una citazione del vecchio e immarcescibile Argan)
Insomma, intorno agli anni Trenta del Settecento, Canaletto  utilizza colori più caldi e vibranti e contorni più nitidi. Delle sue opere si innamora Joseph Smith, console britannico a Venezia, che portò nella sua patria prima i dipinti, poi lo stesso pittore che soggiornò a Londra dal 1750 al '60.
Devo scegliere SOLO un'opera. Eccola
La visita del Doge alla chiesa di san Rocco ( olio su tela, cm 147,7 x 200), Londra, National Gallery
Probabilmente dipinta nel 1735 , raffigura i cerimoniali rigidi in occasione della festa di san Rocco, il 16 agosto. In questa occasione , sulla facciata della chiesa venivano esposte opere pittoriche che avrebbero potuto dare fama e lustro agli artisti che partecipavano all'evento - oggi ahimè  così lo chiameremmo- .
E' chiaro che qui l'artista , per poter dipingere con tanta cura ogni minimo dettaglio, ha dovuto dilatare lo spazio ; il suo passato di scenografo sicuramente lo ha aiutato.
In questo particolare si noti come ogni dettaglio delle vesti sia studiato.
Il grande paesaggista John Constable, che frequentò a Londra dal 1799 la Royal academy , studiò sì i "classici" paesaggi di Lorrain e Poussin, ma ammirò eccome le vedute di Canaletto.
Ma questa è altra storia.

Altro veneziano, questo invece amato da William Turner è Francesco Guardi (1712-1793)
Proveniente da una famiglia di pittori, anche lui è un paesaggista. Diverso però perché le sue vedute, di certo quelle più famose, sono di fantasia.
Venezia è la protagonista indiscussa delle sue opere : le architetture sembrano perdere consistenza, come corrose da vibrazioni luminose (eccolo qua lo spunto per Turner!)
Francesco Guardi, la chiesa della Salute e la punta della Dogana, (olio su tela, cm 56,5 x 76) , Londra, National Gallery .
Le pennellate sono molto più libere e meno curate, i colori in contrasto tra loro. Insomma preannunciano il romanticismo...

Di Giovanbattista Tiepolo  (Venezia 1692- Madrid 1770) già si è detto nel precedente post.
All'inizio più cupo nei colori, molto "piazzettista" insomma (povero Piazzetta, non c'è spazio per lui, meriterebbe un approfondimento).
Poi, dal 1730 , la gamma cromatica è più tenue. Perché da questa data? Forse perché si svincola da Venezia ed arriva a Milano, città già frizzante. E per le famiglie che contano- leggi gli Archinto, i Dugnani (1732)
Palazzo Dugnani, Affreschi di Tiepolo con allegorie della famiglia
e i Clerici, il pittore decora, insieme ad abili quadraturisti, le dimore
Sala degli specchi di Palazzo Clerici (1740) Sul soffitto affresco di Tiepolo col Carro del Sole
Niente Wurzburg - se ne è parlato precedentemente-
Rapido cenno a Madrid; il pittore, richiestissimo all'estero, approda alla corte spagnola di Carlo III e
dal 1762 al 1766 decora il Palazzo reale. Qui sotto è riportato un particolare dell'affresco raffigurate la Gloria di spagna . 
Le tinte pastello attestano l'adesione al Rococò, la visione scorciata, tipica della pittura veneta manierista, qui è ancor più esasperata e la grazia e la leggiadria sono presenti anche in temi religiosi. C'è la croce dei sovrani cattolici che campeggia in un cielo dalle nuvole vaporose e cangianti, ma la donna  lascia scoperto maliziosamente un seno.

Ultima italiana.
Rosalba Carriera (Venezia 1675-1757)
All'inizio si dedica alla miniatura, attività consona all'universo femminile, poi, grazie allo stesso Joseph Smith del Canaletto, diventa ritrattista. La sua novità? l'uso del pastello, che conferisce leggerezza ed un'impareggiabile finezza di tocco. 
I suoi ritratti divennero così richiesti che la Carriera si vide costretta ad organizzare una vera e propria bottega . Parigi, Modena, Vienna, queste alcune delle tappe della sua carriera.
Quale ritratto scegliere? Quello del delfino di Francia Luigi XV (uno dei primi a posare per lei)  che è il nostro fil rouge per il viaggio nel Settecento
Ritratto di Luigi XV, 1721, Boston, Museum of fine arts

E adesso la Francia con Watteau, Boucher e Fragonard.

Jean Antoine Watteau  (1684- 1721) , pittore dalla tavolozza decisa e limpida, è il creatore di un genere "alla moda" , quello delle feste galanti :  una natura rigogliosa e non  imbrigliata è popolata da uomini e donne in atteggiamenti galanti. Le composizioni sembrano opere teatrali alla ricerca di una dimensione diversa, più intima e staccata dalla realtà ; le atmosfere incantate hanno però un "retogusto" malinconico , subito colto da molti artisti romantici e da un grande fan della pittura di Watteau, Charles Baudelaire.

L'imbarco per Citera, 1717 (olio su tela, c. 129 x 194) , Berlino, Charlottenburg
Nell'isola cara ad Afrodite si vive sospesi nel tempo; le coppie galanti consumano con garbo il loro incontro, mentre vegliano su di loro gli Amorini. Una pennellata fluida e leggera contribuisce a creare - anche grazie al tenue cromatismo- questo "stato di grazia".
  Del 1720 è L'insegna di Gersaint (Berlino, Charlottenburg), opera sui generis, creata per l'amico e mercante Gersaint come insegna per il suo negozio. Le grandi dimensioni ( più di tre metri di lunghezza) , permettono una cura nei dettagli notevole. A destra una donna ed un uomo cercano di vendere oggetti raffinati, a sinistra una possibile acquirente assiste, di spalle , allo svelamento di dipinti imballati. Lo scenario è nuovo: un negozio di oggetti artistici, segno dei tempi cambiati per l'artista, da adesso legato alla figura del mercante d'arte.


Altro protagonista è François Boucher  parigino DOC (1703-1770) che iniziò la sua carriera prima come incisore, poi, dopo un folgorante viaggio in Italia  (fu uno dei primi estimatori di Correggio) , pittore a tempo pieno. Al ritorno a Parigi, divenne il protetto della donna più potente e seducente di Francia dell'epoca, madame de Pompadour, favorita di Luigi XV.
Tanti i ritratti a lei dedicati, ma per me il più sfavillante è quello del 1756, conservato all'Altepinakothek di Monaco .
Ogni dettaglio all'interno dell'opera deve raccontarci lo status della marchesa : l'eleganza raffinata delle vesti, dell'acconciatura curata e riflessa nello specchio, la cultura della donna- il libro tra le mani, gli spartiti musicali a terra, il calamaio che fuoriesce dal mobiletto rocaille in primo piano, il potere  che può essere manifestato (si veda la ceralacca sul tavolino e a fianco il sigillo), il tempo che però inesorabile scorre ( l'orologio e le rose spampanate vicino al cagnolino, stesse rose sull'abito di taffetà verde...), ogni particolare è  una gioia per gli occhi.

L'ultimo francese è Jean Honoré Fragonard (Grasse, 1732- Parigi 1806)
La sua formazione è a Parigi con Chardin, Van Loo e Boucher, il suo salto di qualità- leggasi di cromatismo!- è dopo il viaggio a Roma, vincitore del Prix all'Académie de France, dal 1756 al 1761 e in Olanda, dove scopre la luce di Rembrandt.
Dal 1760 si dedica a scene briose e piccanti per ricchi borghesi e nobili parvenus.
Ecco così L'altalena , 1767, olio su tela, Londra, Collezione Wallace . Il triangolo amoroso è in scena; la giovane donna , spinta sull'altalena dall'anziano e nobile marito, sorride maliziosamente - oh, ha perso una scarpetta!- al giovane  dalle gote accaldate, il cui sguardo punta dritto tra le sottane morbide e fluenti. Sotto il vestito? niente.... La liaison è benedetta dai Cupidi, statuine da giardino.
Esattamente dieci anni dopo Fragonard dipinge un incredibile capolavoro , intimo e nuovo nella resa cromatica , La ragazza che legge del 1776 e oggi alla National Gallery of Art di Washington 
L'assenza di linea di contorno, le  pennellate a piccoli tocchi, le ombre ottenute con tonalità di rosso, fanno di questa opera un punto di partenza per David - E gli impressionisti...

La fine del viaggio è in Inghilterra con   William Hogarth (Londra 1697- 1764), grande incisore ma soprattutto abilissimo  cantore delle vicende contemporanee. La sua vena satirica e moraleggiante - anche questo perfettamente in linea con l'Illuminismo- vive nella serie di dipinti "a tema".  Nel 1732 dipinse sei opere - distrutte purtroppo in un incendio nel 1755- raffiguranti La carriera di una prostituta .  Seguirono La carriera del libertino nel 1733-35 e Il matrimonio alla moda del 1744 ( oggi alla National Gallery di Londra). O ancora Lavoro e neghittosità del 1747 e La campagna elettorale del 1754 . 
Ecco qui sopra riprodotto Il mattino della serie del Matrimonio alla moda. Il giovane nobiluomo, dopo una notte passata infruttuosamente al gioco, giace senza forze e sconsolato sulla rossa poltrona , mentre la moglie - che in in dipinto precedente era ritratta data in sposa dal padre mercante per poter vantare sangue blu nel casata- ha probabilmente passato in altro- più piacevole- modo la nottata. Un maggiordomo esce sulla sinistra del dipinto- dal nostro campo visivo ed alza gli occhi al cielo. I fogli che ha in mano hanno l'aspetto di cambiali ed il palazzo  sul fondo ha avuto giorni migliori... 
Anche Parini , negli stessi anni in altri lidi, mette alla berlina i vizi del giovin signore.
Il mondo sta cambiando, l'Ottantanove non è poi così lontano
Ho aperto con una scena tratta da Barry Lyndon. Chiudo con  immagini rubate letteralmente da Kubrick a Hogarth

Ma su Kubrick, prima regista di fantascienza, poi storico, ci sarebbe tanto altro da dire. Non qui, non ora.

martedì 2 settembre 2014

Settecento Un secolo breve , dal 1715 all'Ottananove L'architettura

Il re è morto, viva il nuovo re.
Quando nel 1715 il re Sole morì, impazzarono i festeggiamenti per le vie di Parigi ed il bambino che a soli cinque anni venne incoronato re, fu all'inizio bene amato dalla popolazione. Del resto ci voleva poco..
Se il suo predecessore nel 1668 aveva deciso ampliamenti faraonici nel vecchio castello di Versailles ed

aveva imposto all'architetto Louis Le Vau una Galleria degli specchi unica nella sua magnificenza,
il piccolo re, grazie ad i suoi precettori, passò alla storia (dell'arte, si intende!) per lo stile Rococò o stile Reggenza 
Le caratteristiche peculiari di questo stile? Leggerezza delle membrature, luminosità cromatica, scelta di materiali come legno , stucchi, lacca, curve a C e S, fiori, rami, cineserie. La grazia contro la ridondanza del barocco.
Il nome? Deriva dal francese Rocaille , cioè conchiglia, tipica decorazione che si trovava nelle grotte dei giardini o negli interni.
E se il barocco era l'architettura di grandi spazi, il rococò, salvo casi specifici, si manifestava in luoghi più ristretti.
Guardiamone alcuni

Ecco l' Hotel de Soubise (oggi archivio di stato) a Parigi, opera di Germaine Boffrand (1667/1754) che, dopo essere diventato primo architetto del duca di Lorena nel 1711, ebbe fama e fortuna economica grazie all'edilizia speculativa degli hotel parigini.
Il Salone ovale qui sopra riprodotto è una delle prime testimonianze (siamo negli anni 1735/39) del nuovo stile:  tinte pastello, legno dipinto e mai lasciato naturale, illuminazione diffusa da ampie finestre che creano un rapporto di vuoti e pieni che ritroveremo in altre residenze nobiliari e pannelli dipinti con storie di Amore e Psiche da Charles Natoire, pittore alla moda e direttore dell' Académie de France a Rome , istituzione fondata quasi un secolo prima da Luigi XIV, che ebbe gran peso sui destini di Jacques Louis David (ma questa è un'altra, bellissima, storia.....)

Oppure l' Amalienburg (1734-39)  , capolavoro di François de Cuvilliers (1695/1768):
Lieve, elegante, delicato, questo luogo di delizie costruito all'interno del Nimphenburg a Monaco per la principessa Amalia di Baviera, si sviluppa su un solo piano, con un ambiente circolare al centro che determina una piacevole curva nel giardino.
Anche qui le tinte sono tenui, vi sono porte finestre che creano un rapporto privilegiato con la natura all'esterno, le decorazioni a stucco sono aggraziate ed attestano la formazione orafa dell'architetto belga
Ma è l'interno il piccolo gioiello.
Come una bomboniera, la sala centrale ci lascia a bocca aperta. La decorazione in legno scolpito ed argento, le tinte tenui e i colori opachi, non traslucidi, la luce che penetra e si riflette attraverso gli specchi, rendono questo ambiente il cuore pulsante del microcosmo della principessa..
Ma oltre ai balli, cosa amava Amalia? I suoi cani!
E così un'ala dell'edificio ospita le cucce degli amati animali , ed anche qui la decorazione su pannelli di legno opachi non è affatto pesante ma aggraziata e ottenuta grazie ad un unico colore, l'azzurro.

Ancora. Ecco il Belvedere di Vienna  ( i lavori iniziarono nel 1714) , opera di Lucas von Hildebrandt (1668/1745) .

L'artista era profondamente legato all'Italia ; era nato a Genova da madre italiana ed aveva studiato a Roma con Carlo Fontana. Proprio qui aveva ammirato il Belvedere vaticano e, tornato a Vienna, lo aveva fatto "rivivere" nel  castello . Il rapporto architettura/ giardino è strettissimo. Ancora una volta le porte finestre  sono preferite ai massicci portali rinascimentali e barocchi. Anche qui  linee curve ed assenza di spigoli.

Interno rococò di una chiesa? Scelgo quella dei Vierzehnheiligen ( o dei 14 santi) a Bad Staffelstein  , opera di Balthasar Neumann (1687/1753).
Certo, questa architettura è la continuazione diretta della complessità barocca di Borromini e Guarini, ma i progetti di Neumann sono "giocosi, frivoli, ma anche "cerimoniali" e complessi come le fughe di Bach" (Anton Pevsner, Hugh Honour, Dizionario di architettura)
Sempre di Neumann è la famosa Residenz  a Wurzburg (qui c'è anche lo zampino di Lucas von

Hildebrandt..) del 1720. Per il principe vescovo von Schonborn venne creato un castello che mostrasse la magnificenza- e l'opulenza!- del cattolicesimo.
L'ambiente più famoso è lo scalone d'onore che si innalza ad altezze mozzafiato per l'epoca  e che vede
sul soffitto il più grande affresco del mondo- più di 600 metri quadri- opera di Giambattista Tiepolo , che celebra l'apoteosi della casata tedesca , dinnanzi alla quale si inchinano i quattro continenti.
Tiepolo lavorò coi figli due anni- tempo relativamente breve- nel 1752-53 e si avvalse dell'aiuto di quadraturisti che velocemente riportavano sul soffitto architetture dipinte e disegni preparatori.
All'apice della fama, il pittore veneziano utilizza qui le stesse tinte tenui dell'architettura rococò e per smorzare i colori sappiamo che volle un intonaco ottenuto con granelli di sabbia dalla grana più grossa, per rendere più scabra la superficie. Gli svolazzi sono in linea con la moda dell'epoca, le figura sembrano cadere dalle cornici, l'effetto di scorcio (marchio di fabbrica della pittura di Veronese e Tintoretto, veneti anche loro) è ancor più esasperato. Il fine era la meraviglia...

E in Italia? Due esempi diversissimi.
Il primo è la risposta italiana a Versailles: la Reggia di Caserta  iniziata da Luigi Vanvitelli (1700/1773) nel 1750.

Voluta da Carlo III di Borbone in posizione decentrata - troppo vulnerabile ad attacchi se costruita a Napoli!- , la più vasta reggia del mondo per superficie occupata può essere riassunta così : greve all'esterno- quasi già neoclassica nella monotona facciata-, ardita, libera, stravagante all'interno delle sue 1200 stanze.
Ecco lo scalone e il vestibolo , veri capolavori di grandi spazi.

Così sontuosa e senza tempo , questa scalinata, da essere stata scelta come reggia dei Naboo della regina Amidala nella saga Guerre stellari La minaccia fantasma

E poi, dulcis in fundo, le opere di Filippo Juvarra (1678/1736)
Messinese, proveniente da una famiglia di orafi e cesellatori, venne chiamato a Torino nel 1714 da Vittorio Amedeo II di Savoia per rinnovare totalmente la città.
Prima la Basilica di Superga (1715/31), memore di sant'Agnese in piazza Navona del Borromini
Poi , sempre a Torino, Palazzo Reale (dal 1718) , saggio "restiling" del vecchio castello medievale
La scala delle forbici al suo interno, non ha nulla da invidiare alle residenze signorili d'Europa.
Infine la villa di delizie, la Palazzina di caccia di Stupinigi
A questa Juvarra lavorò dal 1729 fino al '33, prima per Vittorio Amedeo, poi nel 1730 per Carlo EmanueleIII.
Stupinigi diviene il luogo delle feste galanti, dell'intrattenimento della nobiltà, dopo le battute di caccia al cervo che si svolgeva nei boschi dei Savoia.
Intanto la pianta.
Il corpo di fabbrica principale è dato dal salone ovale, luogo dei balli, sul quale si innestano, a mo' di croce di sant'Andrea, quattro corpi di fabbrica, due dei quali creano un cortile interno ottagonale (negli anni il progetto originario venne modificato per un ampliamento della residenza)
Si giungeva a Stupinigi grazie ad una strada che correva parallela all'edificio e l'architetto aveva persin previsto la piantumazione di alberi dal più alto al più basso, di modo da mostrare a poco a poco ( in gergo si chiama visione a cannocchiale rovesciato)- e lateralmente- la facciata dell'edificio. L'occhio doveva abituarsi alla bellezza del luogo e non ., come nel Barocco, alla grandiosità ostentata  quasi "brutalmente".
Come per le residenze viste fino ad ora, anche qui l'architettura ed il parco dovevano "conversare" amabilmente. In cima alla cupola il cervo di bronzo faceva capire lo scopo della costruzione ed il tema della caccia è ripreso anche negli interni. 
Corna di animali, affreschi dedicati a Diana decorano il salone ovale.
E altro ambiente alla moda è il gabinetto cinese, rivestito di pannelli in legno opera di Michele Antonio Rapous, uno dei tanti artigiani che contribuirono a decorare gli interni settecenteschi.
Tanti altri gli esempi di queste "ville di delizia" per fare il verso all'opera di Marcantonio dal Re che aveva catalogato residenze lombarde, ma sarei prolissa.
E sulla pittura, altra storia.
Però, giuro, più breve!