Quando Giotto inizia il ciclo di affreschi nella Cappella degli Scrovegni a Padova -siamo nel 1303- ormai era artista affermato.
Meno di dieci anni prima aveva lasciato in Assisi un luminoso ciclo di 28 riquadri dedicati a san Francesco, più altri mirabili affreschi dedicati a Cristo e i suoi antenati.
Poi era andato a Roma, in occasione del giubileo del 1300
E adesso era a Padova, chiamato da Enrico Scrovegni , il quale , per espiare le colpe del padre Reginaldo, usuraio ricordato nel canto XVII dell'Inferno dantesco, e le sue (di Enrico, insomma!) aveva deciso di donare alla cittadinanza un luogo santo dedicato alla Vergine.
Il luogo è piccolo, una semplice aula rettangolare di una ventina di metri, ma entrando lo spazio è dilatato dalla bellezza dei dipinti
e dal "cielo sempre più blu", un blu che Klein avrebbe molto apprezzato. Ma questa è altra storia.
Ed in questo fulgore, spicca proprio l'episodio del Compianto sul Cristo morto che è quasi al centro della parete sinistra, in una posizione di grande visibilità, visto che di fronte, sulla parete destra, assistiamo al tradimento di Giuda
in cui la figura del traditore, avvolto da un giallo mantello (giallo il colore del tradimento, nel medioevo) , conversa in un intensissimo sguardo, con Cristo.
Nel Compianto il maestro crea una vera e propria rappresentazione drammatica, in cui, come a tratro, i protagonisti non sono le scene , ma gli attori.
Le figure si stagliano nettissime dallo sfondo , grazie ad una marcata linea di contorno, e la stessa roccia spoglia (come può esserci vita se qui si rappresenta la morte?) , taglia diagonalmente la composizione che al suo centro ha il volto straziato di san Giovanni. Proprio le mani del santo prediletto da Gesù, poste all'indietro, contribuiscono a creare slancio ancor più drammatico e convogliano la nostra attenzione là dove il dramma è compiuto.
I corpi di Maria, con il volto sfigurato, e di Maddalena ai piedi di Cristo sono quasi letto funebre su cui si accascia Gesù dall'incarnato verde. Ormai morto.
Persino la Natura piange: l'albero è spoglio
E gli angeli non sono quelli fieri e ieratici del Giorno del Giudizio, o quelli gentili delle tante Annunciazioni. Mostrano il dolore in modi diversi
chi si strappa i capelli, chi si graffia le gote, chi piange con gli occhi rivolti al cielo. Il dolore è umano anche per le creature celesti.
E così il colore usato da Giotto, nei manti dei personaggi, si apre a tantissime sfumature, insolite nella tecnica dell'affresco, che costringeva i pittori ad essere rapidi nell'esecuzione. .
Due figure femminili ci volgono le spalle e rendono ancor più spaziosa la scena, ancor più dilatato il dolore.
In questa piccola Cappella Giotto utilizza una "prospettiva intuitiva" che apre la strada alle soluzioni di Brunelleschi dei primi del Quattrocento. Non solo qui, non solo nelle lance dell'affresco del Tradimento di Giuda, ma anche nei famosi Coretti, veri e propri trompe l'oeil posti nell'arcata dell'altare, Giotto si dimostra degno della fama già documentata da Dante (Purgatorio, XI, 94-96) nella famosa terzina
"Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido
sì che la fama di colui è scura"
Giotto diventerà punto di partenza per molti: il giovane Michelangelo copierà alcune figure di Giotto nella Cappella Peruzzi in santa Croce a Firenze
Ma qui mi piace mostrare il piccolo capolavoro di Giottino (un suo seguace) che, pur non avendo lo spessore del maestro, nella sua Pietà di san Remigio, del 1365, conservata agli Uffizi, mostra di aver meditato con ardore , sul capolavoro degli Scrovegni
Giottino, Pietà ,1365