martedì 3 dicembre 2024

San Matteo e storie della sua vita di Andrea Orcagna

 


Andrea Orcagna , San Matteo e storie della sua vita.

tempera su tavola, cm. 291 x 265, Firenze, Uffizi

Nella città di Firenze, che sempre di nuovi uomeni è stata doviziosa, furono già certi dipintori e altri maestri, li quali essendo a un luogo fuori della città, che si chiama San Miniato a Monte, per alcuna dipintura e lavorío che alla chiesa si dovea fare; quando ebbono desinato con l'Abate e ben pasciuti e bene avvinazzati, cominciorono a questionare; e fra l'altre questione mosse uno, che avea nome l'Orcagna, il quale fu capo maestro dell'oratorio nobile di Nostra Donna d'Orto San Michele: - Qual fu il maggior maestro di dipignere, che altro, che sia stato da Giotto in fuori? - Chi dicea che fu Cimabue, chi Stefano, chi Bernardo, e chi Buffalmacco, e chi uno e chi un altro. Taddeo Gaddi, che era nella brigata, disse: - Per certo assai valentri dipintori sono stati, e che hanno dipinto per forma ch'è impossibile a natura umana poterlo fare -; ma questa arte è venuta e viene mancando tutto dí.

Franco Sacchetti, Dal Trecentonovelle, novella 136

In questa novella scritta intorno al 1390, Franco Sacchetti descrive la situazione artistica di Firenze a metà Trecento. 

Sono gli anni a ridosso della peste nera del 1348 e i protagonisti artistici son tutti lì : Andrea di Cione , detto Orcagna, Bernardo Daddi, Taddeo Gaddi. E alla domanda sullo stato dell'arte  posta proprio da Orcagna al consesso, Taddeo Gaddi risponde che dopo Giotto l'arte della pittura è venuta e viene a mancare.

Il perché di tale giudizio ha un nome : la peste del 1348

Giotto, il grande Giotto, muore nel 1336 e lascia molti seguaci che portano la pittura nuova oltre i confini toscani ; tutto farebbe pensare ad una strada spianata alle novità pittoriche , ma...


Tra il 1340 e il 1350 , Firenze e Siena furono colpite da una grave carestia e quando all'improvviso, nei mesi estivi del 1348  scoppiò la peste bubbonica, più della metà degli abitanti delle due città morì. Firenze aveva una popolazione stimata intorno ai 90.000 abitanti; a settembre dello stesso anno ne sopravvissero 45.000 e Siena passò da 42.000 a 15.000 abitanti. Molti artisti trovarono la morte e chi rimase - come Orcagna- cambiò il proprio stile.

Alcune notizie su di lui. Nacque a Firenze nel 1308 , fu immatricolato tra i pittori nel 1343 , ebbe il periodo più noto tra il 1350 e il 1368, anno della sua morte. La sua opera più nota è il Tabernacolo di Orsanmichele , mix di scultura e architettura, che mostra l'adesione al gotico fiammeggiante .


Andrea Orcagna, Tabernacolo, metà 1300 , marmo di Carrara, 

Firenze , Orsanmichele

Nei tanti rilievi di cui è costellato il Tabernacolo, si nota come l'artista abbia assimilato la lezione del Giotto spazioso : i personaggi sono rappresentati di tre quarti o di profilo, costruiscono uno spazio ordinato e a misura d'uomo.


Andrea Orcagna, La nascita di Maria, particolare dal 

Tabernacolo di Orsanmichele

Sempre per Orsanmichele , nel 1367 , Orcagna è incaricato dai consoli dell' Arte del cambio a dipingere tre pannelli dedicati a san Matteo e alla sua vita. L'artista non riuscirà a terminare il lavoro che verrà concluso l'anno dopo  dal fratello Jacopo , il quale resterà fedele al disegno di Andrea.

La forma strana è dovuta al fatto che questo mezzo esagono doveva ricoprire un pilastro della chiesa di Orsanmichele ; l'opera fu rimossa nel 1402 come tutte le altre tavole sui pilastri della chiesa , fu spostata in altri luoghi e venne acquistata nel 1899 dagli Uffizi.

Vediamola nel dettaglio


Il pannello centrale rappresenta in maniera frontale san Matteo , protettore dei cambiavalute. 

Indossa  sulla tunica azzurra un sontuoso mantello rosa foderato di preziosa stoffa rossa e orlato d'oro ; nella destra tiene la penna , nella sinistra il calamo e il Vangelo che riporta l'incipit con la genealogia di Cristo. Il santo  poggia i piedi su un ricco tappeto che - insieme al fondo oro - appiattisce la composizione . Lo sguardo è severo e distaccato , il corpo statuario . Quella naturalezza , quel dinamismo che erano presenti nelle opere di Giotto e dei giotteschi , sono scomparse.

A fianco della cuspide in cima sono presenti due tondi con due angeli  posti di tre quarti che reggono uno una corona , l'altro la palma del martirio.

Nei due pannelli laterali il linguaggio si fa più fluido e movimentato La lettura ,in senso orario, parte dal pannello in basso a sinistra e termina con quello in basso a destra . 

A sinistra in basso è rappresentata la vocazione di san Matteo, in alto san Matteo che ammansisce i due draghi di Vadabar.


Andrea Orcagna, Vocazione di san Matteo, Particolare dal trittico 

di san Matteo

In questa scena  Andrea Orcagna ricorda la lezione giottesca e il banco dei pegni è raffigurato di scorcio.

 Ricordiamo che la collocazione originaria era su un pilastro di Orsanmichele, dunque la pittura  segue la tridimensionalità del supporto. Il centro della composizione è vuoto, per evidenziare come la scelta di Matteo sia stata radicale, visto che egli decide di abbandonare ricchezze e agi per seguire il Messia. Sicuramente  Orcagna aveva ben in mente l'episodio della Rinuncia agli averi che Giotto aveva affrescato nella Basilica di Assisi.


Giotto, La rinuncia agli averi, affresco, 1492 ca.

Assisi, Basilica superiore di San Francesco


I due personaggi sono loro - Cristo e Matteo -, posti l'uno di tre quarti l'altro di profilo. Le altre figure son raffigurate gerarchicamente più piccole, sia i discepoli che accompagnano Gesù, sia il giovane inserviente al di là del banco. L'espressività è nei gesti e nei movimenti accennati , come quello di Matteo che si protende verso Gesù.

Il secondo pannello raffigura un episodio miracoloso ; la fonte non è più il Vangelo ma la Legenda aurea di Jacopo da Varazze


Il santo, accompagnato da san Giovanni incontra due maghi Arphascal e Zaroes , accompagnati da due draghi dall'alito pestilenziale; basta un gesto di Matteo per rendere docili i mostri, qui personificazione del male. I colori delle vesti, soprattutto quelle dei maghi, sono decisi , anche se le pieghe delle vesti sono appena accennate e non danno volume ai corpi. Anche in questo caso, il centro della scena è libero

Nella terza scena san Matteo resuscita Ifigenia ,la figlia  del re Egippo in Etiopia.


E' una scena piena , tante persone assistono al miracolo appena compiuto dal santo e la ragazza riconosce il miracolo e giunge le mani in preghiera. Il re stesso indica con la mano destra la figlia salvata e , riconoscente al santo, si convertirà come Ifigenia.. Un sontuoso ziggurat merlato ricostruisce un luogo esotico, dunque di fantasia.

E poi l'ultimo episodio, il più drammatico che celebra il martirio di san Matteo


Alla morte del re Egippo sale al trono il fratello Irtaco che avrebbe voluto sposare la nipote Ifigenia, votata però a Cristo. Il re chiede l'intercessione del santo che lo invita ad assistere alla messa. 

E qui si consuma il dramma. In una predica accorata , Matteo afferma che il voto di matrimonio con Cristo non poteva essere sciolto e quindi un sicario del re lo trafigge con una spada.

Il santo è al centro della scena , colto nel momento in cui il sicario lo colpisce alle spalle. Le mani del santo, intrecciate, disegnano una croce e l'ultimo sguardo di Matteo è proprio rivolto alla croce dorata posta sul desco . Il ciborio sopra l'altare ha forme gotiche e ricorda in qualche modo lo splendido tabernacolo di Orsanmichele.

Tutte le scene  sono incorniciate da cornici dorate e accompagnate da didascalie in latino medievale con la descrizione dell'episodio.  Inoltre, in cima ai due pannelli laterali compaiono dei tondi che raffigurano monete d'oro , cioè lo stemma dell'Arte del Cambio.


Stemma dell'Arte del Cambio

In quest'opera di Andrea Orcagna insomma si assiste a quel cambiamento artistico avvenuto dopo le peste nera. Molti dei sopravvissuti hanno visto nella peste un segnale divino e non è un caso se proprio a Firenze e Siena si moltiplicarono predicatori come  Caterina da Siena , Jacopo Passavanti, Giovanni Colombini , Giovanni dalle Celle che auspicavano un ritorno ad una morigeratezza dei costumi pronta a riflettersi anche sulla pittura devozionale. Nei dipinti di questi anni  si cancella quell' umanesimo che Giotto aveva sdoganato, per ritornare ad una gerarchia chiara che vede le figure dei santi poste frontalmente , più grandi e ieratiche.
 Il  pittore tra l'altro , qualche anno prima aveva   dipinto sui muri della navata di Santa Croce a  Firenze il Trionfo della Morte, uno dei tanti di quei luoghi, di quell'epoca.




Andrea Orcagna, dettaglio dal Trionfo della Morte, affresco strappato, metà 1300
Firenze, ora al  Refettorio di Santa Croce

Ma in alcuni episodi "marginali" , come per esempio la vocazione di san Matteo o la  resurrezione di Ifigenia , non può cancellare con un colpo di spugna la lezione giottesca









lunedì 4 novembre 2024

Pontormo al Galluzzo sulle orme di Durer : la cena in Emmaus

 



 La Certosa del Galluzzo

Firenze, 1523.

L'ennesima epidemia di peste costringe le persone ad una vita appartata.

L'ombroso Pontormo rifugia alla Certosa del Galluzzo e nell'ambiente raccolto della comunità certosina trova serenità e ispirazione.

Qui , aiutato dall'allievo Bronzino, dipinge nel chiostro  cinque lunette con le scene della Passione di Cristo. 

E se fino ad allora la sua pittura si era mossa  sui binari di quella del suo maestro  Andrea del Sarto, ora, al Galluzzo  medita sulla lezione del gran tedesco Albrecht Durer.

Si veda per esempio l'affresco con la salita al Calvario , incentrato sull'episodio della Veronica che asciuga il volto di Gesù 


Pontormo, Andata al Calvario, 1523 ,affresco strappato

cm 300 x 292, Firenze, Certosa del Galluzzo


e lo si paragoni all'incisione di Durer dalla Piccola passione 


Albrecht Durer , Cristo  portacroce, 1511,
xilografia, cm 12,7 x 9,7 

Che Pontormo fosse curioso riguardo quanto Oltralpe si stava facendo, lo attesta anche il giudizio severo di Vasari che accusò il pittore di aver abbandonato  "la vaghezza della sua prima maniera tutta piena di dolcezza e di grazia " (giudizio che si trova nelle Vite di Giorgio Vasari) per ammiccare alla maniera dura dei tedeschi.

La peste scemava , si poteva tornare alla vita normale. Ma Pontormo , uomo solitario e tormentato, torna più e più volte nel silenzio dei chiostri. E per la foresteria della Certosa  dipinse nel 1525 questa splendida  Cena in Emmaus .


Jacopo Carucci detto il Pontormo, Cena in Emmaus, 1525,
olio su tela, cm 230 x 173, Galleria degli Uffizi, Firenze
Vediamola nel dettaglio
L'episodio è tratto dal Vangelo di Luca (24,13 -35) : Cristo si rivela a due discepoli in cammino verso Emmaus e costoro, se prima non lo avevano riconosciuto, al desco- allo spezzar del pane - ecco che lo vedono nella sua essenza  
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».

 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. )

Nel dipinto  Pontormo inserisce i personaggi attorno ad un tavolo rotondo : Cristo è al centro, guarda verso di noi ,  benedice il pane. I due discepoli Cleopa e Simone ci volgono le spalle e sono colti uno mentre riempie il calice, l'altro pronto a spezzare il pane. Grazie ai colori cangianti ( come è cambiata la pittura dopo la volta della Sistina !) , alla scelta del tavolo rotondo che dà un senso di compiutezza e intimità  e alle due figure di spalle, anche noi spettatori siamo invitati al desco. In primissimo piano , al centro, compare il cartiglio con la firma dell'artista . Fanno capolino un cane e due gatti , pronti a cogliere il cibo caduto a terra. 

 Qui la luce gioca un ruolo fondamentale. Dietro Cristo tutto è ombra ma basta la benedizione per rivelare la luce vera. E Cristo bagnato di luce  , illumina tutta l'umanità , qui rappresentata dagli altri personaggi , i frati certosini. Le parole del vangelo di Giovanni  "veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo " (1,9) , qui si fanno luce grazie alla magia della pittura.

Si veda il dettaglio del desco 


Pontormo, particolare della Cena in Emmaus

Ombre, luce , trasparenza ... questa capacità di giocare con tenebre e luce era tipica dei dipinti fiamminghi che in quegli anni riportavano al nord Europa e dunque alla Riforma di Martin Lutero.

Ecco perchè Vasari - sempre fedele alla linea dettata dal potere- aborre queste scelte di Jacopo Carucci , che accusa - neanche poi tanto velatamente - di abbracciare l'eresia luterana. 

La similitudine con Durer è lampante 

Si osservi  la xilografia tratta dalla Piccola Passione che Durer aveva  pubblicato nel 1511 , quindi fresca di stampa e che sappiamo Pontormo aveva guardato.


Albrecht Durer , Cena in Emmaus , 1511, xilografia

cm 12,7 x 9,7 , Londra, British Museum

La costruzione scenica è la stessa  e quella luce a stella che notiamo nella xilografia, in Pontormo si trasforma nell'aura divina . Si tenga presente che quell'occhio racchiuso nel triangolo e malamente dipinto, NON è opera di Pontormo ma un'aggiunta successiva . Analisi radiografiche hanno infatti mostrato che sotto l'occhio vi è un volto trifronte rappresentazione della Trinità , vietata dalla Controriforma.

Questo naturalismo che poi ritroveremo in tanti dipinti del nord Italia e che poi porterà alla rivoluzione caravaggesca e alle scene di genere dei Carracci , lo vediamo chiaramente nei volti di tutti i personaggi che fanno contorno a Gesù

Ecco Leonardo Buonafede, vecchio priore della Certosa, raffigurato dal pittore in piedi alla destra di Cristo


Pontormo, in Emmaus , particolare

E gli sguardi degli altri frati , tutti rivolti verso lo spettatore li ritroveremo in quelli drammatici e attoniti della Deposizione di santa Felicita 


Pontormo, Deposizione, 1526-28, tempera su tavola.cm 313 x 192,

Chiesa di santa Felicita , Firenze

La via del Nord  , e non più e non solo della "dolcezza e grazia" era tracciata.