Quando nel 1715 il re Sole morì, impazzarono i festeggiamenti per le vie di Parigi ed il bambino che a soli cinque anni venne incoronato re, fu all'inizio bene amato dalla popolazione. Del resto ci voleva poco..
Se il suo predecessore nel 1668 aveva deciso ampliamenti faraonici nel vecchio castello di Versailles ed
aveva imposto all'architetto Louis Le Vau una Galleria degli specchi unica nella sua magnificenza,
il piccolo re, grazie ad i suoi precettori, passò alla storia (dell'arte, si intende!) per lo stile Rococò o stile Reggenza
Le caratteristiche peculiari di questo stile? Leggerezza delle membrature, luminosità cromatica, scelta di materiali come legno , stucchi, lacca, curve a C e S, fiori, rami, cineserie. La grazia contro la ridondanza del barocco.
Il nome? Deriva dal francese Rocaille , cioè conchiglia, tipica decorazione che si trovava nelle grotte dei giardini o negli interni.
E se il barocco era l'architettura di grandi spazi, il rococò, salvo casi specifici, si manifestava in luoghi più ristretti.
Guardiamone alcuni
Ecco l' Hotel de Soubise (oggi archivio di stato) a Parigi, opera di Germaine Boffrand (1667/1754) che, dopo essere diventato primo architetto del duca di Lorena nel 1711, ebbe fama e fortuna economica grazie all'edilizia speculativa degli hotel parigini.
Il Salone ovale qui sopra riprodotto è una delle prime testimonianze (siamo negli anni 1735/39) del nuovo stile: tinte pastello, legno dipinto e mai lasciato naturale, illuminazione diffusa da ampie finestre che creano un rapporto di vuoti e pieni che ritroveremo in altre residenze nobiliari e pannelli dipinti con storie di Amore e Psiche da Charles Natoire, pittore alla moda e direttore dell' Académie de France a Rome , istituzione fondata quasi un secolo prima da Luigi XIV, che ebbe gran peso sui destini di Jacques Louis David (ma questa è un'altra, bellissima, storia.....)
Oppure l' Amalienburg (1734-39) , capolavoro di François de Cuvilliers (1695/1768):
Lieve, elegante, delicato, questo luogo di delizie costruito all'interno del Nimphenburg a Monaco per la principessa Amalia di Baviera, si sviluppa su un solo piano, con un ambiente circolare al centro che determina una piacevole curva nel giardino.
Anche qui le tinte sono tenui, vi sono porte finestre che creano un rapporto privilegiato con la natura all'esterno, le decorazioni a stucco sono aggraziate ed attestano la formazione orafa dell'architetto belga
Ma è l'interno il piccolo gioiello.
Come una bomboniera, la sala centrale ci lascia a bocca aperta. La decorazione in legno scolpito ed argento, le tinte tenui e i colori opachi, non traslucidi, la luce che penetra e si riflette attraverso gli specchi, rendono questo ambiente il cuore pulsante del microcosmo della principessa..
Ma oltre ai balli, cosa amava Amalia? I suoi cani!
E così un'ala dell'edificio ospita le cucce degli amati animali , ed anche qui la decorazione su pannelli di legno opachi non è affatto pesante ma aggraziata e ottenuta grazie ad un unico colore, l'azzurro.
Ancora. Ecco il Belvedere di Vienna ( i lavori iniziarono nel 1714) , opera di Lucas von Hildebrandt (1668/1745) .
L'artista era profondamente legato all'Italia ; era nato a Genova da madre italiana ed aveva studiato a Roma con Carlo Fontana. Proprio qui aveva ammirato il Belvedere vaticano e, tornato a Vienna, lo aveva fatto "rivivere" nel castello . Il rapporto architettura/ giardino è strettissimo. Ancora una volta le porte finestre sono preferite ai massicci portali rinascimentali e barocchi. Anche qui linee curve ed assenza di spigoli.
Interno rococò di una chiesa? Scelgo quella dei Vierzehnheiligen ( o dei 14 santi) a Bad Staffelstein , opera di Balthasar Neumann (1687/1753).
Certo, questa architettura è la continuazione diretta della complessità barocca di Borromini e Guarini, ma i progetti di Neumann sono "giocosi, frivoli, ma anche "cerimoniali" e complessi come le fughe di Bach" (Anton Pevsner, Hugh Honour, Dizionario di architettura)
Sempre di Neumann è la famosa Residenz a Wurzburg (qui c'è anche lo zampino di Lucas von
Hildebrandt..) del 1720. Per il principe vescovo von Schonborn venne creato un castello che mostrasse la magnificenza- e l'opulenza!- del cattolicesimo.
L'ambiente più famoso è lo scalone d'onore che si innalza ad altezze mozzafiato per l'epoca e che vede
sul soffitto il più grande affresco del mondo- più di 600 metri quadri- opera di Giambattista Tiepolo , che celebra l'apoteosi della casata tedesca , dinnanzi alla quale si inchinano i quattro continenti.
Tiepolo lavorò coi figli due anni- tempo relativamente breve- nel 1752-53 e si avvalse dell'aiuto di quadraturisti che velocemente riportavano sul soffitto architetture dipinte e disegni preparatori.
All'apice della fama, il pittore veneziano utilizza qui le stesse tinte tenui dell'architettura rococò e per smorzare i colori sappiamo che volle un intonaco ottenuto con granelli di sabbia dalla grana più grossa, per rendere più scabra la superficie. Gli svolazzi sono in linea con la moda dell'epoca, le figura sembrano cadere dalle cornici, l'effetto di scorcio (marchio di fabbrica della pittura di Veronese e Tintoretto, veneti anche loro) è ancor più esasperato. Il fine era la meraviglia...
E in Italia? Due esempi diversissimi.
Il primo è la risposta italiana a Versailles: la Reggia di Caserta iniziata da Luigi Vanvitelli (1700/1773) nel 1750.
Voluta da Carlo III di Borbone in posizione decentrata - troppo vulnerabile ad attacchi se costruita a Napoli!- , la più vasta reggia del mondo per superficie occupata può essere riassunta così : greve all'esterno- quasi già neoclassica nella monotona facciata-, ardita, libera, stravagante all'interno delle sue 1200 stanze.
Ecco lo scalone e il vestibolo , veri capolavori di grandi spazi.
Così sontuosa e senza tempo , questa scalinata, da essere stata scelta come reggia dei Naboo della regina Amidala nella saga Guerre stellari La minaccia fantasma
E poi, dulcis in fundo, le opere di Filippo Juvarra (1678/1736)
Messinese, proveniente da una famiglia di orafi e cesellatori, venne chiamato a Torino nel 1714 da Vittorio Amedeo II di Savoia per rinnovare totalmente la città.
Prima la Basilica di Superga (1715/31), memore di sant'Agnese in piazza Navona del Borromini
Poi , sempre a Torino, Palazzo Reale (dal 1718) , saggio "restiling" del vecchio castello medievale
La scala delle forbici al suo interno, non ha nulla da invidiare alle residenze signorili d'Europa.
Infine la villa di delizie, la Palazzina di caccia di Stupinigi
A questa Juvarra lavorò dal 1729 fino al '33, prima per Vittorio Amedeo, poi nel 1730 per Carlo EmanueleIII.
Stupinigi diviene il luogo delle feste galanti, dell'intrattenimento della nobiltà, dopo le battute di caccia al cervo che si svolgeva nei boschi dei Savoia.
Intanto la pianta.
Il corpo di fabbrica principale è dato dal salone ovale, luogo dei balli, sul quale si innestano, a mo' di croce di sant'Andrea, quattro corpi di fabbrica, due dei quali creano un cortile interno ottagonale (negli anni il progetto originario venne modificato per un ampliamento della residenza)
Si giungeva a Stupinigi grazie ad una strada che correva parallela all'edificio e l'architetto aveva persin previsto la piantumazione di alberi dal più alto al più basso, di modo da mostrare a poco a poco ( in gergo si chiama visione a cannocchiale rovesciato)- e lateralmente- la facciata dell'edificio. L'occhio doveva abituarsi alla bellezza del luogo e non ., come nel Barocco, alla grandiosità ostentata quasi "brutalmente".
Come per le residenze viste fino ad ora, anche qui l'architettura ed il parco dovevano "conversare" amabilmente. In cima alla cupola il cervo di bronzo faceva capire lo scopo della costruzione ed il tema della caccia è ripreso anche negli interni.
Corna di animali, affreschi dedicati a Diana decorano il salone ovale.
E altro ambiente alla moda è il gabinetto cinese, rivestito di pannelli in legno opera di Michele Antonio Rapous, uno dei tanti artigiani che contribuirono a decorare gli interni settecenteschi.
Tanti altri gli esempi di queste "ville di delizia" per fare il verso all'opera di Marcantonio dal Re che aveva catalogato residenze lombarde, ma sarei prolissa.
E sulla pittura, altra storia.
Però, giuro, più breve!
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