Un edificio, si sa, vive nel tempo e il tempo lo trasforma.
Così la grande chiesa di santa Sofia a Costantinopoli, oggi Istanbul.
Edificata una prima, una seconda volta. E una prima e una seconda volta distrutta.
Fino a che l'imperatore Giustiniano diede ordine di ricostruirla in altre forme nel 532.
Cinque anni dopo era terminata; la cupola però, distrutta a causa di un terremoto nel 558, fu ricostruita più aerea e leggera e terminata nel 562.
Oggi la struttura giustinianea è rimasta pressoché quella, ad eccezione dei minareti, incastonati ai quattro angoli quando, dopo il 1453, divenne moschea.
Il progetto di questo edificio che riunisce pianta centrale e longitudinale, fu di Antemio di Tralle ed Isidoro di Mileto, matematici ed esperti in statica e cinetica.
E così questo rettangolo poco allungato di 70 x 75 metri circa, preceduto un tempo da ampio quadriportico, al suo interno si dilata in un ampio vano centrale sormontato da splendida cupola, in una competizione con quella del Pantheon che è evidente.
Nonostante la mole, l'abside- all'interno semicircolare e all'esterno polilobata- è una sola: chi entrava doveva aver ben chiaro che il punto di vista privilegiato era segnato dall'asse centrale.
E al centro c'è la cupola del diametri di 31 metri, sorretta da quattro ampi pilastri che delimitano un quadrato e che sembrano aprirsi a creare altri spazi minori sui quali svettano due semicalotte.
Navata centrale e laterali sono separate da una doppia fila di colonne in porfido e in marmo verde; quelle al secondo ordine, più slanciate, delimitano il matroneo.
Ma la protagonista assoluta di questa chiesa è la luce che entra copiosa dalle finestre disposte nell'abside, nelle navate laterali, nelle finestre ad arco ricavate alla base della cupola e dalle 40 finestre della cupola a calotta che rendono ancor più leggera la costruzione di modo da far sembrare che la struttura "poggiasse" senza alcun peso.
Ed è per questo che esternamente, in corrispondenza dei quattro piloni, sono posti quattro contrafforti atti a scaricare il peso della muratura.
Il mosaico a fondo oro contribuisce all'illuminazione, tanto che lo storico greco Procopio di Cesarea nella sua opera encomiastica "Sugli edifici" del 553-55 arrivò a dire che lo spazio non sembrava illuminato dall'esterno, ma che la luminosità fosse generata dall'interno, da quella divina sapienza da cui tutto è iniziato.
La magnificenza dell'edificio venne ripresa in quegli anni per il san Vitale a Ravenna e nei secoli a venire nel San Marco di Venezia, che però, edificio romanico, non ha la leggerezza del modello costantinopolitano
Ed anche nello splendido telero (lungo più di 7 metri!) dei fratelli Bellini e raffigurante La predica di san Marco ad Alessandria d'Egitto, oggi alla Pinacoteca di Brera, lo stravagante edificio ricorda Santa Sofia e ribadisce il legame fortissimo di Venezia con l'Oriente
Ma anche questa è altra storia...
giovedì 27 marzo 2014
domenica 23 marzo 2014
"Originale è tornare alle origini" Antoni Gaudì
La Sagrada Familia impegnò Gaudì tutta la vita.
I lavori iniziarono nel 1880 per opera dell'architetto Francisco de Villar, architetto neogotico presso cui Gaudì aveva iniziato il suo apprendistato.
Nato come tempio espiatorio dopo i disordini politici degli anni Sessanta dell'Ottocento e dopo carestie e epidemie, sin dall'inizio fu finanziata attraverso le elemosina dei catalani.
Nel 1883 subentrò in cantiere Gaudì e per 43 anni questo fu il suo pensiero dominante.
Sin da subito Gaudì cambiò il progetto di de Villar (che aveva a quella data costruito solo parte della cripta) e da chiesa a tre divenne a cinque navate, con ampio transetto a tre e abside polilobata.
Insomma una vera e propria cattedrale gotica, pronta ad innalzarsi, come le preghiere, a Dio.
Sin da subito Gaudì sapeva benissimo che mai l'avrebbe vista terminata; anzi aveva previsto 200 anni di cantiere: Fissò dunque in un modello il simbolismo religioso che doveva ispirare l'opera, lasciando in pratica liberi i futuri architetti di realizzarla secondo la tecnica costruttiva che avrebbero ritenuto più opportuna.
La pianta di questa immensa cattedrale di sabbia prevede l'entrata a sud (di conseguenza l'altare a nord) , scenograficamente illuminata dall'unica luce possibile, quella del sole, emanazione della luce divina.
A est, in corrispondenza del transetto, vi è la facciata della Natività, l'unica che alla morte dell'architetto fosse compiuta. La rigogliosa decorazione scultorea, curata nei minimi dettagli , prevede un complesso programma iconografico che sfocia nei quattro portali ( il portale della navata centrale del transetto è doppio) dedicati a Carità, Speranza, Fede e all'albero della vita. In questi le sculture narrano la storia di Cristo fatto uomo e le fonti raccontano che i modelli per le sculture fossero ottenuti attraverso calchi di semplici cittadini di Barcellona per far sì che non un elemento fosse uguale all'altro.
Del resto in natura non esistono forme identiche.
Sagrada Familia, portale della Carità
A ovest l'altra facciata del transetto era dedicata alla Passione di Cristo e fu terminata negli anni Trenta del Novecento, in forme più spigolose e geometriche, legate al cubismo imperante. L'art Nouveau non era più moda.
La facciata vera e propria, ancora in costruzione , è dedicata alla Gloria.
Tutte e tre hanno come coronamento, come preghiere tese verso il cielo, quattro torri, dedicate ai dodici apostoli.
Nel punto di congiunzione tra transetto e corpo longitudinale l'architetto di Reus aveva previsto l'innalzamento di altre quattro torri simbolo degli evangelisti.
Al centro, altissima , deve ergersi quella dedicata a Cristo e dietro di essa, sopra l'altare, quella più bassa per la Vergine Maria.
Questi enormi termitai hanno all'interno base quadrata, per poi assottigliarsi e smussarsi in pareti circolari, tutte di spessore diverso, tutte di grandezza diversa; le campane che qui in cima dovrebbero alloggiare, e che sarebbero mosse solo dal vento,avrebbero suoni differenti...
Chiaro che i modelli per questo edificio siano le cattedrali gotiche, però Gaudì opera scelte moderne; invece di utilizzare gli archi rampanti - che lui considerava stampelle e quindi antiestetiche , prevedeva che le colonne si "piegassero" con un'inclinazione pari alla risultante delle forze dinamiche ( come aveva già fatto nella cripta della colonia Guell)
Cripta della colonia Guell
E poi tanti simboli, tenti numeri, tanta fede. La chiesa non si costruisce dall'altare alla facciata in senso orizzontale, ma dal basso verso l'alto quasi a simboleggiare il processo di purificazione dell'uomo e il desiderio di avvicinamento alla perfezione divina.
E poi colore ottenuto grazie alle ceramiche invetriate, tipiche della tradizione figurativa spagnola o grazie ai materiali dipinti , lì a simulare le forme della natura mediterranea di Barcellona. Il verde è quello delle alghe, l'azzurro quello dell'acqua.
A lungo ritenuto un visionario, solo da qualche decennio la sua opera è stata studiata e oggi la Sagrada è il monumento di Spagna più visitato.
E basta vedere la BCE Place Galleria di Toronto dell'archistar Santiago Calatrava per vedere come il seme gettato dal monaco Gaudì abbia gigliato.
Santiago Calatrava, BCE Place, Toronto
Ma qui andiamo oltre...
I lavori iniziarono nel 1880 per opera dell'architetto Francisco de Villar, architetto neogotico presso cui Gaudì aveva iniziato il suo apprendistato.
Nato come tempio espiatorio dopo i disordini politici degli anni Sessanta dell'Ottocento e dopo carestie e epidemie, sin dall'inizio fu finanziata attraverso le elemosina dei catalani.
Nel 1883 subentrò in cantiere Gaudì e per 43 anni questo fu il suo pensiero dominante.
Sin da subito Gaudì cambiò il progetto di de Villar (che aveva a quella data costruito solo parte della cripta) e da chiesa a tre divenne a cinque navate, con ampio transetto a tre e abside polilobata.
Insomma una vera e propria cattedrale gotica, pronta ad innalzarsi, come le preghiere, a Dio.
Sin da subito Gaudì sapeva benissimo che mai l'avrebbe vista terminata; anzi aveva previsto 200 anni di cantiere: Fissò dunque in un modello il simbolismo religioso che doveva ispirare l'opera, lasciando in pratica liberi i futuri architetti di realizzarla secondo la tecnica costruttiva che avrebbero ritenuto più opportuna.
La pianta di questa immensa cattedrale di sabbia prevede l'entrata a sud (di conseguenza l'altare a nord) , scenograficamente illuminata dall'unica luce possibile, quella del sole, emanazione della luce divina.
A est, in corrispondenza del transetto, vi è la facciata della Natività, l'unica che alla morte dell'architetto fosse compiuta. La rigogliosa decorazione scultorea, curata nei minimi dettagli , prevede un complesso programma iconografico che sfocia nei quattro portali ( il portale della navata centrale del transetto è doppio) dedicati a Carità, Speranza, Fede e all'albero della vita. In questi le sculture narrano la storia di Cristo fatto uomo e le fonti raccontano che i modelli per le sculture fossero ottenuti attraverso calchi di semplici cittadini di Barcellona per far sì che non un elemento fosse uguale all'altro.
Del resto in natura non esistono forme identiche.
Sagrada Familia, portale della Carità
A ovest l'altra facciata del transetto era dedicata alla Passione di Cristo e fu terminata negli anni Trenta del Novecento, in forme più spigolose e geometriche, legate al cubismo imperante. L'art Nouveau non era più moda.
La facciata vera e propria, ancora in costruzione , è dedicata alla Gloria.
Tutte e tre hanno come coronamento, come preghiere tese verso il cielo, quattro torri, dedicate ai dodici apostoli.
Nel punto di congiunzione tra transetto e corpo longitudinale l'architetto di Reus aveva previsto l'innalzamento di altre quattro torri simbolo degli evangelisti.
Al centro, altissima , deve ergersi quella dedicata a Cristo e dietro di essa, sopra l'altare, quella più bassa per la Vergine Maria.
Questi enormi termitai hanno all'interno base quadrata, per poi assottigliarsi e smussarsi in pareti circolari, tutte di spessore diverso, tutte di grandezza diversa; le campane che qui in cima dovrebbero alloggiare, e che sarebbero mosse solo dal vento,avrebbero suoni differenti...
Chiaro che i modelli per questo edificio siano le cattedrali gotiche, però Gaudì opera scelte moderne; invece di utilizzare gli archi rampanti - che lui considerava stampelle e quindi antiestetiche , prevedeva che le colonne si "piegassero" con un'inclinazione pari alla risultante delle forze dinamiche ( come aveva già fatto nella cripta della colonia Guell)
Cripta della colonia Guell
E poi tanti simboli, tenti numeri, tanta fede. La chiesa non si costruisce dall'altare alla facciata in senso orizzontale, ma dal basso verso l'alto quasi a simboleggiare il processo di purificazione dell'uomo e il desiderio di avvicinamento alla perfezione divina.
E poi colore ottenuto grazie alle ceramiche invetriate, tipiche della tradizione figurativa spagnola o grazie ai materiali dipinti , lì a simulare le forme della natura mediterranea di Barcellona. Il verde è quello delle alghe, l'azzurro quello dell'acqua.
A lungo ritenuto un visionario, solo da qualche decennio la sua opera è stata studiata e oggi la Sagrada è il monumento di Spagna più visitato.
E basta vedere la BCE Place Galleria di Toronto dell'archistar Santiago Calatrava per vedere come il seme gettato dal monaco Gaudì abbia gigliato.
Santiago Calatrava, BCE Place, Toronto
Ma qui andiamo oltre...
domenica 9 marzo 2014
La Colonna Traiana ovvero l'esaltazione del potere e le norme di comportamento dell'ottimo principe
Che la Colonna Traiana, costruita da un anonimo genio nel 113 d.C. non sia solo uno splendido esempio di arte imperiale, ma una sorta di documentario, è lì da vedere
Imponente- è alta all'incirca 40 metri- nuova (nata dalla contaminazione fra tipi già in uso come la colonna onoraria con statua sin cima e la colonna ornata da rilievi in fasce parallele) , scenografica, preziosa .
In marmo di Luni, oggi ha perso i colori di cui era dipinta , come pure gli inserti in metalli per armi e corazze.
Ai tempi dell'imperatore Traiano era posta alla fine del foro, in una piccola piazza , circondata dalla basilica Ulpia e il tempio del Divo Traiano , tra la biblioteca greca e quella latina. Nella pianta qui sotto corrisponde al numero 6
Cosa raccontasse, è risaputo: le due campagne daciche del 101-103 e del 105-106.
E il racconto si snoda, si srotola come un libro antico, dal basso verso l'alto. Le 23 fasce scolpite a doppio rilievo iniziano con un'altezza di 90 centimetri, per ampliarsi fino a 120 centimetri nelle parti in alto.
Certo non era possibile godere di tutti i particolari, ma forse dalle finestre delle due biblioteche alcuni dettagli erano ben in mostra.
Le campagne militari vengono narrate con molti particolari, ma anche queste (come le pitture trionfali, oggi perdute, che narravano nei fori le gesta dell'esercito romano, così lontano da Roma) per sequenze figurative che apparentemente si riferiscono ai fatti storici e che scandiscono le campagne militari secondo precisi rituali, che si ripetono sempre uguali a se stessi.
Insomma, non sono dei veri e propri reportage di guerra.
Dopo l'alto basamento che conteneva in una teca d'oro le ceneri dell'imperatore, la colonna vera e propria si rivela a noi attraverso un dettagliato racconto che parte con l'attraversamento del Danubio e che termina lassù in cima con la Notte che stende un velo su tutto.
Molte delle scene possono intendersi come istituzioni e regole di comportamento per il perfetto generale
E così si va dalla
Uno degli episodi più toccanti è quello della morte di Decebalo, re dei Daci, che , pur di non cadere prigioniero, decide di uccidersi ai piedi di un albero
La natura, qui come altrove, è solo pretesto per rendere ancor più incisiva la narrazione. E qui, come in altri episodi, l'esercito romano è ordinato, a differenza di quello barbaro
Come per esempio qui, dove inoltre, in alto a sinistra compare la Notte che col suo manto porta il buio sugli eserciti.
Traiano, la cui immagine compare più di 50 volte, è sempre raffigurato come l'optimus princeps, alla stessa altezza degli altri soldati, anche se sempre in posizione centrale.
E poi, costruzione di accampamenti, rappresentazione di città o di ponti sul Danubio, insomma un documentario scolpito mirabilmente che ci permette di ricostruire la vita dell'esercito romano.
Le immagini devono comunicare l'affermazione di alcuni valori "forti"
o ripresa nelle forme tortili da Bernini nello scenografico Baldacchino di san Pietro
Ma questa è, come al solito , altra storia.
Imponente- è alta all'incirca 40 metri- nuova (nata dalla contaminazione fra tipi già in uso come la colonna onoraria con statua sin cima e la colonna ornata da rilievi in fasce parallele) , scenografica, preziosa .
In marmo di Luni, oggi ha perso i colori di cui era dipinta , come pure gli inserti in metalli per armi e corazze.
Ai tempi dell'imperatore Traiano era posta alla fine del foro, in una piccola piazza , circondata dalla basilica Ulpia e il tempio del Divo Traiano , tra la biblioteca greca e quella latina. Nella pianta qui sotto corrisponde al numero 6
Cosa raccontasse, è risaputo: le due campagne daciche del 101-103 e del 105-106.
E il racconto si snoda, si srotola come un libro antico, dal basso verso l'alto. Le 23 fasce scolpite a doppio rilievo iniziano con un'altezza di 90 centimetri, per ampliarsi fino a 120 centimetri nelle parti in alto.
Certo non era possibile godere di tutti i particolari, ma forse dalle finestre delle due biblioteche alcuni dettagli erano ben in mostra.
Le campagne militari vengono narrate con molti particolari, ma anche queste (come le pitture trionfali, oggi perdute, che narravano nei fori le gesta dell'esercito romano, così lontano da Roma) per sequenze figurative che apparentemente si riferiscono ai fatti storici e che scandiscono le campagne militari secondo precisi rituali, che si ripetono sempre uguali a se stessi.
Insomma, non sono dei veri e propri reportage di guerra.
Dopo l'alto basamento che conteneva in una teca d'oro le ceneri dell'imperatore, la colonna vera e propria si rivela a noi attraverso un dettagliato racconto che parte con l'attraversamento del Danubio e che termina lassù in cima con la Notte che stende un velo su tutto.
Molte delle scene possono intendersi come istituzioni e regole di comportamento per il perfetto generale
E così si va dalla
- Adlocutio in cui Traiano tiene discorso alle truppe mentre una delegazione di Daci arriva
- Pietas (il sacrificio agli dei)
- Omen (il presagio favorevole)
- Submissio e clementia (la presentazione dei prigionieri che fanno atto di sottomissione nei confronti dell'imperatore il quale accoglie le suppliche e risparmia i prigionieri)
- Consilium (il consiglio di guerra in cui Traiano insieme al suo entourage prende decisioni sulla battaglia)
Uno degli episodi più toccanti è quello della morte di Decebalo, re dei Daci, che , pur di non cadere prigioniero, decide di uccidersi ai piedi di un albero
La natura, qui come altrove, è solo pretesto per rendere ancor più incisiva la narrazione. E qui, come in altri episodi, l'esercito romano è ordinato, a differenza di quello barbaro
Come per esempio qui, dove inoltre, in alto a sinistra compare la Notte che col suo manto porta il buio sugli eserciti.
Traiano, la cui immagine compare più di 50 volte, è sempre raffigurato come l'optimus princeps, alla stessa altezza degli altri soldati, anche se sempre in posizione centrale.
E poi, costruzione di accampamenti, rappresentazione di città o di ponti sul Danubio, insomma un documentario scolpito mirabilmente che ci permette di ricostruire la vita dell'esercito romano.
Le immagini devono comunicare l'affermazione di alcuni valori "forti"
- la superiorità assoluta dei romani
- la sicurezza
- l'ordine
Per quanto forti siano i barbari, non c'è romano che soccomba
E' come se i rilievi fossero un dettagliato registro in cui il Senato romano abbia fissato per l'eternità le imprese dell'esercito e dell'imperatore, come una conferma dei resoconti di guerra ufficiali presentati al Senato e depositati all'Archivio di Stato.
A differenza di altre opere architettoniche romane, la Colonna non subì rimaneggiamenti nel corso dei secoli , ad eccezione della statua dell'imperatore tolta e sostituita nel Cinquecento da quella di san Pietro
Eccola lì in fondo, nel paesaggio di una Gerusalemme mai vista da Mantegna e immaginata come Roma antica nella splendida Orazione nell'orto del Louvre
o ripresa nelle forme tortili da Bernini nello scenografico Baldacchino di san Pietro
Ma questa è, come al solito , altra storia.